Il 37 marzo in place de la République…

“Non ringrazieremo mai abbastanza la legge El Khomri per averci ridato il senso di due cose che avevamo dimenticato da troppo tempo: il senso del comune e il senso dell’affermazione […], grazie davvero El Khomri, Valls e Hollande, grazie per aver spinto l’ignominia talmente in là da non lasciarci altra scelta se non quella di uscire dal sonno politico, dall’isolamento e, in molti casi, dalla paura”, queste alcune delle parole con cui l’economista Frédéric Lordon è intervenuto davanti a una folla di centinaia di persone radunatasi sulla place de la République lo scorso venerdì 31 marzo, a seguito della manifestazione contro la proposta di legge sulla riforma del lavoro. Soltanto una manciata di minuti, poi il microfono è passato di mano in mano, secondo le regole di un’assemblea che non ha bisogno di leader e ha trovato poco a poco e collettivamente il suo modo di praticare la democrazia: una lista per prendere la parola, votazioni per alzata di mano, applausi e dissensi sostituiti da un codice gestuale, comitati divisi per settore e università popolare.

L’appello a non tornare a casa dopo quel giorno di mobilitazione è nato da un film, “Merci, patron”, attualmente in sala e proiettato in anteprima il 23 febbraio alla Bourse du travail. Il documentario racconta di come una coppia di disoccupati sobbarcati dai debiti, con l’aiuto di François Ruffin, fondatore della rivista satirica « Fakir », e altri complici, riesca a prendersi una rivincita sull’ex datore di lavoro, il direttore generale del gruppo LVMH, Bernard Arnault, uomo più ricco d’Europa e quarta fortuna mondiale nel 2012 secondo la rivista americana « Forbes ». Irriverente, geniale, divertente, collettivo, questo film mette il sorriso: è la celebrazione del bene che vince contro il male, Robin Hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri, Davide che batte Golia. Quasi un segno del destino il fatto che sia uscito proprio qualche giorno dopo la pubblicazione della prima bozza della riforma del codice del lavoro, la cosiddetta loi travail, o loi El Khomri. Eh sì perché questo film, capace di spiegare in maniera semplice i meccanismi messi in moto da un’azienda che non si fa scrupoli a delocalizzare, licenziare, tagliare, a mettere da parte l’umano, pur di aumentare profitti e dividendi, è allo stesso tempo un potente galvanizzatore: in un deserto politico in cui non si fa che lamentarsi e sprofondare nella disillusione, “Merci, patron” rimette al centro l’azione, la lotta, la convinzione che cambiare le cose non solo è auspicabile ma è anche possibile.

Insomma, è sulla scia di questo film che un collettivo informale ha avuto l’idea di invitare i manifestanti a non tornare a casa dopo la manifestazione del 31 marzo per una Nuit Debout a place de la République. Da quella sera marzo non è mai finito: nello scorrere di un calendario inventato che fa l’occhiolino alla Rivoluzione francese, il 32, il 33… fino a oggi 37 marzo (e oltre), i giorni e le notti sono trascorsi fra dibattiti, festa, assemblee e discussioni, centinaia di persone (migliaia domenica e anche martedì sera) che non hanno voglia di tornare a casa, perché il sentimento è quello di essere al centro degli eventi, protagonisti di qualcosa di grosso, e di giusto.

Il governo ha tentato di minimizzare la portata del movimento, attribuendo le ragioni dello “scontento” alla precarietà e alla disoccupazione crescente, ma durante le assemblee generali che si susseguono puntuali alle 18 di ogni giorno in place de la République le rivendicazioni economiche e personali non trovano spazio. Si parla piuttosto di convergenza delle lotte, di un sistema da combattere, di una costituzione da riscrivere, di un mondo tutto da rifare. Capitalismo, lotta, reddito di base, riduzione dell’orario di lavoro, è la prima volta in Francia che una folla così grande si riunisce sulla pubblica piazza per mettere in discussione l’economia liberale, si dà collettivamente l’autorizzazione di criticare un sistema che le istituzioni e i media mainstream ci presentano come un dato di fatto immutabile. E’ una festa, una liberazione, la fine dell’autocensura, una prova generale di democrazia diretta, il riapprendimento della politica. Una rivoluzione? Forse no, ma la barra è sempre bene metterla in alto, per riuscire ad arrivare il più lontano possibile.

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