Barbès, la brasserie di cui non potevamo fare a meno (scherzo)

E’ decisamente sulle bocche di tutti, la nuova brasserie che “ha cambiato il volto di Barbès”, aperta il 30 aprile scorso dopo ore di attesa e una considerevole fila. Ostacolati sulle prime dalla minaccia di un KFC, presi miracolosamente per mano dalla paladina della branchitude, sua maestà la Mairie de Paris, due rampanti trentenni auvergnati osano finalmente la rischiosissima missione: portare la civiltà laddove prima regnavano incontrastati il contrabbando di sigarette e il deserto civile. La stampa a reti unificate è concorde nell’attribuire all’elegante struttura il merito di fornire finalmente agli abitanti del quartiere, dopo decenni di oscurantismo e illegalità, un luogo in cui esercitare il loro sacrosanto diritto al brunch, al caffè in terrazza, alla pinta di 16 a 9,40€. Ci domandiamo come abbiano potuto sopravvivere fino ad ora, senza questo fondamentale servizio di interesse pubblico.

Mah, eppure, nella mia modesta personale esperienza di parigina acquisita che, pur integralista del triangolo Belleville-Ménilmontant-Gambetta, non disdegna di tanto in tanto le lusinghe del 18° e tra Barbès e la Goutte d’Or ci ha addirittura vissuto per un paio d’anni, potrei offrire alla suddetta stampa lifestyle, venditrice di nuove tendenze e di informazioni quanto meno incomplete, almeno una valanga di indirizzi che smentiscono la falsa immagine che dipingono del quartiere: i bar c’erano già, i ristoranti pure, e, ciliegina sulla torta, senza servizio di sorveglianza all’entrata.

«Une brasserie n’a rien d’élitiste […] et la nôtre est ouverte aux gens qui vivent ici, travaillent ici et viennent ici», afferma Jean Vedreine, gestore del ristorante insieme a Pierre Moussié. Ah, scusate, au temps pour moi, non mi ero mai resa conto prima che Barbès fosse abitata dalla gioventù branchée della Parigi bene, da professionisti in camicia e pantaloni casual, da bobos con gli occhiali alla moda e il portafogli stracolmo. Mi devo essere persa qualcosa. Hanno ragione, senza dubbio la popolazione della Zone urbaine sensible (ZUS) della Goutte d’Or sognava da tempo di poter andare a spendere 11 euro per un cocktail in terrazza nel nuovo bar cool all’uscita della metro Barbès e sono sicura che è elettrizzata all’idea di vedere il prezzo degli affitti salire di pari passo con la trasformazione del suo quartiere malmafato in una zona finalmente decorosa. Com’è bella la vita.

«Le Figaro», «Time Out», «20 minutes», «Libération», nessuno tra tutti i giornali che hanno scritto in merito alla nuova apertura, ha osato abbordare l’argomento della gentrification e, quando se ne è fatto accenno, è stato solo per smentire subito eventuali infondatissime opinioni. Da dove sorge un’idea del genere? La nuova brasserie Barbès si è limitata a offrire un servizio che prima non c’era, per di più eroicamente, ricordiamolo, perché tra tagliagole e spacciatori non si scherza mica…

E’ stato un atto coraggioso il cui merito va non soltanto ai due impavidi gestori, ma anche alla Mairie de Paris, alla quale, da cittadina, mi sento di dire grazie per aver sostenuto questo progetto così utile, anzi indispensabile, per il quartiere: ora finalmente l’offerta commerciale del boulevard è diversificata, basta con quei brutti rivenditori di cellulari, ed è infine soddisfatto il bisogno di svago di chi abita nelle immediate vicinanze, con una menzione speciale, diciamolo a gran voce, per i migranti accampati sotto il métro aérien tra Barbès e La Chapelle. Dopo tutto, sono abitanti del quartiere anche loro, no?

Clique ici pour la version française : Barbès, la brasserie dont on ne pouvait pas se passer (je plaisante)

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