Dell’impossibilità di stare a dieta a Parigi, ossia perché non sono diventata francese

Quando si arriva in una nuova città, specie se ci si trasferisce all’estero, ci si imbatte in un periodo di acclimatazione durante il quale i cliché e i pregiudizi si scontrano con la realtà dei fatti, perdendosi per sempre o, al contrario, confermandosi come reali. Figuriamoci poi in una città come Parigi, che sembra fatta di cliché almeno quanto è fatta di pietre, acciaio e tetti d’ardesia (e di zinco, per amor del vero).

defiles-chanelTra tutti i cliché che si sono sgretolati alla velocità della luce, a mo’ di pandistelle nel latte caldo, ce n’è almeno uno che non soltanto è resistito all’impatto con la realtà locale, ma si è rafforzato col tempo, moltiplicando il suo quoziente di veridicità proporzionalmente agli anni di permanenza in Francia. Quello sulle parigine magre.

Ora non venitemi a dire “ah, no, io c’ho un’amica di Parigi che c’ha i fianchi larghi!”, “la mia colloc è piuttosto in carne” e amenità simili. La vostra colloc e la vostra amica sono ECCEZIONI. Ci ho messo pochissimo, una volta che ho iniziato ad aggirarmi in metropolitana (un manuale di antropologia culturale interattivo, per non dire uno zoo a ingresso libero), a capire che il luogo comune che voleva tutte le parigine magre, chic ed eleganti era fottutamente vero.

Fatto sta che via via che il processo di integrazione avanza e che le parigine in questione iniziano ad essere le vostre vicine di casa, le vostre compagne di corso, le vostre colleghe e infine – passo ultimo nella gallicizzazione della vostra anima – le vostre amiche, scatta in voi un vero e proprio sentimento di emulazione. Sentimento che – purtroppo – nella maggior parte dei casi è destinato a rimanere frustrato. La parisienne, infatti, possiede una capacità unica ed ineguagliabile a essere sempre figa, nonostante (o proprio grazie a) quell’aria “mi-sono-appena-alzata-dal-letto-ho-legato-i-capelli-a-cazzo-e-sono-uscita”.

Esempio: pausa café in ufficio. Una delle colleghe entra nella cafèt’ e tutte le altre si precipitano a farle i complimenti per il suo look, perché effettivamente è ancora più figa che d’abitudine. Su un jeans attillato porta uno chemisier nero stretto in vita da una cintura. Risposta dell’interessata (che si schermisce di fronte a cotanto successo mondano): “Mah, stamani ero dal mio ragazzo, non sapevo cosa mettere e gli ho rubato una camicia, tutto qui”. Ovviamente non soltanto io credo all’innocente ammissione della francesina in questione, ma ingenuamente immagino che il miracolo sia riproducibile, ragione per la quale la sera stessa mi fiondo nell’armadio alla ricerca di una camicia da uomo, per vedere un po’ “l’effetto che fa”. Su di me, che non sono bionda, non ho lunghe gambe affusolate e – soprattutto – non sono francese, fa semplicemente l’effetto di una sfollata, vestita in piena notte con la prima cosa che ha trovato.

Ma tutto questo è niente di fronte alla frustrazione che provi quando – presa dall’ottimismo dei buoni propositi della rentrée – ti decidi a metterti a dieta. Le francesi, ufficialmente, non sono mai a dieta. Sono quelle che ti dicono: “quando pranziamo che muoio di fame?” e poi prendono un’insalata Monoprix senza pane e la lasciano a metà. Stando ai loro racconti ogni sera si abbuffano di Roquefort e fromage de chevre, eppure permangono secche come chiodi a farti invidia nelle loro taglie 34 [le taglie francesi corrispondono a due taglie sopra in Italia 36fr = 40 it etc.].  Già, le taglie, capitolo a parte: non soltanto in una qualsiasi boutique potete suonare le campane a festa se riuscite a trovare più di due capi in taglia 44, ma in certi quartieri (il Marais e il sesto arrondissement, per dirne due a caso) perfino la 42 è merce rara quanto il caffè in tempi di guerra.

Non che con questo voglia scoraggiarvi, ma numerosi processi di verifica empirica hanno dimostrato inconfutabilmente che seguire una dieta a Parigi è – semplicemente – impossibile.

Lunedì mattina, primo giorno di dieta. Ti alzi di buon’ora e fai colazione come si deve. A metà mattinata mangi la mela che ti sei portata da casa e a pranzo riesci a resistere alle insidie del cinese take away e ti concentri sulla tua insalata di lenticchie e germogli di soia. La tua fiducia in te stessa è alle stelle. Alle tre e mezza del pomeriggio il telefono squilla. Marion, che non vedi dai tempi dell’Erasmus, è tornata a Parigi per lavoro e ha troppa voglia di vederti. E che, non lo vuoi prendere un bicchiere di rosso per l’aperitivo? Soltanto che un bicchiere di rosso ne tira un altro che tira un pichet. E ovviamente dopo mezzo litro di vino la fame inizia a farsi sentire… Per fortuna che hanno inventato le planches mixtes! Alle dieci e mezzo torni a casa, barcolli e hai ancora più fame. Prima di dormire ti fai un etto di pasta in bianco per rimetterti a posto lo stomaco e crolli sul letto in una frazione di secondo.

Martedì mattina ti svegli con la gueule de bois e ti abbuffi subito di pane e nutella per recuperare prima di andare in ufficio. Passi la mattinata a sopravvivere grazie a caffè e coca cola fino all’ora di pranzo quando il cinese take away che ieri avevi schivato tanto abilmente ti appare in tutta la sua seducente bontà come l’unico pranzo in grado di farti stare meglio. Otto involtini primavera più tardi il doposbronza è passato, e il senso di colpa alle stelle. Purtroppo è il compleanno della tua boss che ha fatto arrivare un vassoio di macarons Ladurée. Sarebbe veramente cafone non assaggiarli… Ovviamente mentre le altre riescono a spilluzzicarne uno tenendolo con la punta delle dita tu cerchi di fare il poker di tutti i gusti disponibili, un po’ come quando da piccola volevi essere sicura di avere una smarties per ogni colore del sacchetto.

Mercoledì sera hai previsto di cenare en amoureux, per cui fai ben attenzione a quel che mangi per poterti concedere gli stravizi della sera (non hai ancora abbandonato l’idea di riuscire a dimagrire). La serata inizia con un bicchiere di vino, che ti mette subito appetito. Il giovanotto in questione ha fatto le cose in grande e prenotato in un ristorante gastronomico, in cui il menù découverte prevede bis d’entrées, plat de résistance, fromages et dessert. Una volta uscita rotoli fino a casa: a questo punto normalmente la dieta si interrompe e torni al normale regime quotidiano, che in fin dei conti è costituito da un’alimentazione molto varia. Sushi, cinese, indiano, cous cous, kebab, thai, burgers… In quale altra città puoi fare il giro del mondo (culinario) in una settimana?

Eh già, perché – non contenti di essere la patria del cassoulet, del fois gras, della parmentier au confit de canard – a Parigi trovare un ristorante straniero in cui mangiare o ordinare un pasto è di una facilità imbarazzante. E se aggiungete gli aperitivi, il vino, i formaggi e il burro che piove su tutto ciò che appare in tavola, stare a dieta a Parigi è un’impresa impossibile per chiunque.

Tranne, a quanto pare, per le francesi!

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CHI SIAMO

Dal 2013, Italiani a Parigi.

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