Gianmaria Testa, quello che vuol dire per noi

Oggi se n’è andato uno dei cantautori più delicati e profondi che il nostro Paese ci abbia regalato negli ultimi decenni, con le sue storie d’amore, i racconti di naufraghi e delle umane genti. Noi di PG, visti anche i temi delle sue composizioni, avremmo potuto ricordare Gianmaria Testa in milioni di occasioni. Ma lo facciamo solo ora, affinché la morte, nella sua triste inutilità, serva almeno a diffonderlo a chi non lo conoscesse già, e a ricordarci che quando la nostalgia di casa ci assale, c’è sempre la musica che ci ha lasciato in custodia a confortarci.

In effetti, di custodia si tratta. Perché per noi “ritals”, uno tosto come Gianmaria Testa è stato davvero un portavoce, uno che sentiamo vicino a noi. Nato e cresciuto nella campagna cuneese, a un certo punto della sua vita, ha mollato il famoso “posto fisso” per occuparsi di quello a cui teneva di più, la musica. Credo che solo chi ha un vero spirito viaggiatore possa avere il coraggio di una tale scelta. In fondo viaggiare non è solo cambiare paese, ma buttarsi in una cosa che ci sembra più grande di noi, si tratta di seguire il proprio istinto, di provarci sul serio. E ovviamente, chi è andato via dalla propria città, dalla propria famiglia per raggiungere un posto incerto, ha fatto una scelta molto difficile e l’ha affrontata come meglio credeva, pur non sapendo a cosa l’avrebbe condotto. Uno come G. Testa, figlio di contadini piemontesi, non poteva non comprendere cosa si prova quando, per mille ragioni diverse, si lascia la propria “terra”, quando occorre “sradicarsi”, quando ci si sente “stranieri al chiuso di un’altra sponda”, quando “l’abitare magro non diventa casa”, quando ci si ritrova con una “lingua da disimparare e un’altra da imparare in fretta”.

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Nel lavoro di Gianmaria Testa il tema dei migranti è un fil rouge sempre presente, come un contrabbasso in sottofondo che accompagna impercettibilmente un concerto. In giro per il mondo, ci ha cantato “il passo di chi è partito per non ritornare”, di chi è “venuto qui a ritrovar l’incanto”. E ce l’ha raccontato con una sensibilità rara, in punta di piedi e di jazz, senza mai urlare, come se si fosse messo lì a scrutare la realtà da un angolino, restando invisibile agli altri, e restituendocela per quella che è, senza imbrogli. Questo è quello che immaginavo quando abitavo nel quartiere di Porta Palazzo, a Torino, vicino a quella piazza che, in qualche centinaia di metri, conteneva l’India, il Pakistan, la Cina, il sud Italia, l’Africa, l’America Latina, la Francia, il mondo intero. Mi tornavano in mente le sue parole, e pensavo che solo un grande artista avrebbe potuto regalarci un quadro così pesantemente verosimile in maniera così leggera.

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Ma quello era solo uno dei tanti spaccati multiformi della sua produzione. Alle migrazioni ha dedicato infatti un concept album (di cui il brano qui sopra fa parte), uscito nel 2006, dal titolo “Da questa parte del mare”. Un album in cui vale la pena sprofondare, un lavoro di un’incredibile attualità, che ci invita a riflettere sul peso e sulle difficoltà vissute dalle popolazioni costrette ad emigrare, ieri come oggi.

Ecco, la musica di Gianmaria Testa ci fa spesso pensare, e in fondo ci rassicura, perché ciascuno di noi sa che, nonostante le difficoltà, “per quanto si parta, comunque si ritornerà”.

E noi di PG, per lui, non abbiamo altro che fiori…

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Dal 2013, Italiani a Parigi.

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