Macron, il nuovo che avanza

É ormai un luogo comune iniziare gli articoli a proposito di Emmanuel Macron, leader del movimento En Marche!, con la frase: “soltanto due anni fa nessun francese conosceva il suo nome, adesso è uno dei tre favoriti per la corsa all’Eliseo.” Salutato della stampa francese come una ventata di novità nel panorama politico dell’esagono, l’enfant prodige del governo Valls ha sedotto in pochissimo tempo una bella fetta degli elettori francesi, dalla comodità della sua posizione di candidato apartitico “né di destra né di sinistra”.

Classe 1977, passa dai banchi di Science Po a quelli dell’ENA [l’École nationale d’administration, dalla quale proviene la maggioranza degli alti funzionari dello Stato ndr]; dopo qualche anno in cui lavora come funzionario per il ministero del Tesoro approda alla banca d’affari Rothschild & Cie. È l’inizio della sua carriera di banchiere, talmente brillante che in meno di due anni, promozione dopo promozione,  diventa uno degli associés: grossi clienti, fusioni, cessioni… Operazioni da miliardi di euro come piovessero.

Nonostante il folgorante successo in quanto banchiere, fino al 2014 il suo nome non è conosciuto al di fuori del mondo ristretto della alta finanza. Ma ecco che ci pensa Manuel Valls a portarlo agli onori della cronaca, nominandolo Ministro dell’Economia in seguito ad un rimpasto di governo: due mesi dopo la Loi Macron viene presentata in consiglio dei Ministri. All’ordine del giorno: rimessa in causa delle 35 ore settimanali e una bella accelerata per il lavoro domenicale e notturno. Tutto questo, perché “L’Etat doit continuer à donner plus de souplesse au marché du travail”, ovviamente.

La visione politico-economica di Macron si concretizza – in sintesi – nella vecchia medicina liberista che vuole meno Stato, privatizzazioni a tutto spiano, meno garanzie per i lavoratori, meno tasse per gli imprenditori e, -ah, la grande panacea! – più flessibilità. Niente di nuovo sul fronte occidentale.

Eppure, da quando, a novembre dello scorso anno, questo banchiere di talento prestato alla politica ha dato le dimissioni dal governo per candidarsi ufficialmente alla Presidenza della Repubblica, ha attirato le simpatie di tutti quegli elettori indecisi, delusi dai catastrofici cinque anni di François Hollande e dai partiti tradizionali. Incensato sui settimanali patinati come il rampollo dinamico, progressista e pronto a rilanciare una Francia impantanata nelle sue rigidità e nel suo “rifiuto della modernità” è in realtà un giovane dalla idee vecchie di un secolo e mezzo, sostenitore di una riduzione dei diritti sociali (“Je n’aime pas ce terme de Modèle Social” ha dichiarato nel luglio 2015 durante un discorso al ministero delle Finanze) e fautore di una divisione manichea della società divisa tra chi è “en marche”, chi produce, e i “fainéants”, i fannulloni.

Né di destra né di sinistra, of course, ma soprattutto “né di sinistra”.

Se sulla sua visione economica si possono avere pochi dubbi, le sue opinioni politiche sono ancora sconosciute al grande pubblico. In assenza di un vero e proprio programma (giudicato, probabilmente, troppo old fashioned) la campagna elettorale di Emmanuel Macron è ondivaga, all’insegna di un cerchiobottismo esilarante, tra dichiarazioni fiammeggianti a proposito della colonizzazione “crimine contro l’umanità”, alla presa di posizione in difesa dei militanti della Manif pour tous, movimento creatosi contro il Mariage pour tous, che – secondo il candidato apartitico – sarebbero stati “umiliati”. La mossa giusta per raccattare un po’ dei voti della Francia più conservatrice, tant’é che il centrista Bayrou, ex-terzo uomo della politica francese, ha rinunciato a candidarsi per appoggiare questo astro nascente.

Ma chi sono gli elettori di Macron? I cadres superiors, la classe media e – soprattutto – il ceto urbano istruito. Quello che votava senza troppa convinzione a sinistra, ma non ama il termine socialiste. Quelli che sono convinti che la soluzione alla crisi sia un liberismo 3.0, alla Uber per intenderci. Il candidato all’americana, che si è appoggiato ad una startup per la sua capagna porta a porta, sembra sedurre tutti: perfino Daniel Cohn-Bendit, figura storica del Mai ’68 ha dichiarato il suo sostegno a Macron in un’ottica antilepenista (sic, o meglio, in questo caso, sigh).  Dai bobo parigini al vecchio elettorato gaullista che si lascia sedurre da questo “giovane che piace agli anziani” (lo definivano così su Rue89 e mi è sembrato  calzargli a pennello) il movimento di Macron sembra essere veramente en marche.

Il Medef (la Confindustria francese) ringrazia.

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Dal 2013, Italiani a Parigi.

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