Anatomie d’une chute: un Oscar francese… ma non troppo!

Non era imprevedibile, ma fa comunque piacere (almeno a chi – come me – ha amato questo film): Anatomie d’une chute, film di Justine Triet, già Palma d’Oro a Cannes, ha vinto il premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale nella cerimonia che si è tenuta a Los Angeles domenica 10 marzo.

Emmanuel Macron ha twittato le sue congratulazioni alla regista (che ha co-firmato anche la sceneggiatura, scritta a quattro mani col compagno, Arthur Harari) e all’équipe del film, e ha parlato di fierté française. La ministra della cultura, Rachida Dati, ha dichiarato che il cinema francese risplende nel mondo. Ma il successo del film di Triet è anche il simbolo – in negativo – di un discreto fiasco dell’intellighenzia cinematografica francese, incarnata dal CNC (Centre National du Cinéma et de l’Image Animée) che non ha selezionato Anatomie d’une chute per rappresentare la Francia per il premio Oscar nella categoria Miglior Film Internazionale. Al di là della polemica (che a noi, da buone italiane, piace sempre) la vicenda si presta ad aprire una finestra sul cinema francese e sui suoi meccanismi di produzione e distribuzione, oltre che sull’immagine che la Francia ha di se stessa e che vuole rinviare al mondo.

Ma cosa è successo, esattamente? Ve lo raccontiamo noi!

Anatomia di un successo

Anatomie d’une chute è il ritratto di una donna accusata dell’omicidio di suo marito. Sandra Hüller interpreta una scrittrice che vive col marito, professore universitario che convive con la frustrazione di non aver avuto successo come scrittore. L’uomo viene trovato morto, a seguito di una caduta, ai piedi dello chalet della famiglia. Unico testimone: il figlio, cieco.

Si tratta di un film di un’intelligenza rara, estremamente ben scritto e ben realizzato. Certo, si tratta della mia opinione personale, ma per una volta posso affermare che anche la critica si è espressa in questi termini, e forse non è un caso se Anatomie d’une chute ha vinto quasi tutti i riconoscimenti più importanti. Il film ha iniziato la propria collezione di premi ancor prima di uscire in sala, ricevendo a maggio del 2023 la Palme d’Or al festival di Cannes, a cui si sono poi aggiunti 6 premi César (tra cui miglior film, miglio regia e miglior attrice protagonista), 7 premi Bafta (tra cui di nuovo miglior film e miglior regia) e 2 Golden Globes. Il film di Triet ha riscosso anche un buon successo al box office, dimostrando che – a differenza di quanto sembrano pensare numerosi programmatori – il pubblico non vuole vedere soltanto blockbusters.

 

Il CNC, alfa e omega del cinema francese

Per terminare in bellezza la stagione dei premi di quest’anno, Anatomie d’une chute è stato selezionato in cinque categorie agli Oscar 2024 e tra le più importanti, come miglior film, regia, sceneggiatura originale attrice protagonista e montaggio. Non notate niente di strano? Esattamente, sono tutte catagorie importanti (4 fanno parte dei cosiddetti Big Five, ossia i premi più importanti della cerimonia)… Ma non compare in quella di miglior film Internazionale (o – come si diceva fino a qualche anno fa, miglior film straniero). L’Oscar del miglior film internazionale è una categoria un po’ particolare, perché sono i paesi stessi a scegliere che film inviare all’Academy ogni anno. In pratica, un po’ come alle Olimpiadi, ogni paese seleziona un film che lo rappresenti per questo premio, e dopo una serie di scremature, un comitato creato ad hoc designa i cinque film che concorreranno in questa categoria. La Francia è uno dei rari paesi a presentare sistematicamente ogni anno un film per questa categoria agli Oscar, e l’ente che si occupa di decidere quale film fare concorrere in questa categoria è…il CNC!

Ma cosa è il CNC? Ente conosciuto e invidiato in molti altri paesi, si tratta di un organismo essenziale per garantire la buona salute dell’industria cinematografica francese: ente pubblico, sotto l’egida del ministero della Cultura ma estremamente autonomo, il CNC si occupa della regolamentazione e del supporto al cinema in Francia e all’estero. Il CNC dispone di un ricco budget annuale, proveniente da diverse tasse sui beni culturali (biglietti del cinema, vendita DVD, piattaforme VOD etc), che ridistribuisce agli attori dell’industria cinematografica e audiovisiva attraverso meccanismi di sostegno automatico e selettivo. Con i suoi mille difetti (in Francia, e specie tra chi ha a che fare da vicino o da lontano, con l’industria culturale, criticare il CNC è un’arte a parte intera) si tratta di uno degli organismi che supportano l’idea che la cosiddetta exception culturelle francese non è proprio tutta una bufala.

Ma – appunto – anche questo organismo ha i suoi mille difetti, e la scelta del film per rappresentare la Francia agli Oscar ne è una prova. A scegliere quale film inviare all’Academy per rappresentare la Francia è quindi il CNC, sotto forma di una commissione speciale, che si riunisce a settembre e che è composta da… (solo) 7 personalità. Ogni anno, quindi, tra i membri del CNC vengono selezionati 7 professionisti del settore (produttori, cineasti, distributori etc), reputati per la loro conoscenza del mercato americano per selezionare IL film da mandare in competizione oltre oceano. Solo che in 2023, a 4 voti su 7 la scelta del film è caduta su La passion de Dodin Bouffant, storia d’amore e di gastronomia francese del XIX secolo con Juliette Binoche e Benoît Magimel. Un film in costume, classico e convenzionale, che sembra la cartolina della Douce France che ormai non c’è più. Un film che, inoltre, non ha avuto nessun successo in sala. Ma che cosa gli è saltato in mente a quelli del CNC quando hanno fatto questa scelta?

La Francia e la sua immagine

Se all’annuncio del CNC non è mancato chi ha pensato a una “punizione politica” del film di Triet (la cineasta aveva pronunciato un discorso incendiario contro la politica neoliberista del governo al momento di ritirare la sua Palma d’Oro, il che non aveva mancato di suscitare vive critiche da parte dell’allora ministra della Cultura, Rima Abdul Malak), dal CNC – ma anche dall’equipe di produzione del film – si sono affrettati a dire che non vi era stata ingerenza alcuna da parte dell’esecutivo né da chicchessia. La risposta va allora cercata in qualcosa di molto più sottile, ovverosia l’immagine di sé che la Francia pensa di dare (o forse vuole dare?) all’estero. Certo, La passion de Dodin Bouffant, sulla carta, aveva alcuni assi da giocarsi negli States: due attori dalla carriera internazionale ben conosciuti oltreoceano, un produttore – Gaumont – che è il più importante in Francia, e un premio a Cannes (Prix de la mise en scène). Nondimeno, quello che colpisce è che si tratta di un film molto franco-français come si dice nell’Esagono: un film sulla gastronomia francese il cui titolo per la diffusione internazionale avrebbe dovuto essere The Pot-au-Feu (poi fortunatamente corretto in The Taste of Thing) che sembra perpetrare gli eterni stereotipi un po’ stantii della Francia, paese del vino e del formaggio e delle storie d’amore che nascono tra gli odori della cucina. Come se al CNC si fossero detti: “gli americani vogliono questa roba qua, diamogli questa roba qua…”

E al tempo stesso, come dargli torto, quando si pensa al successo di una serie come Emily in Paris, che senza cliché durerebbe cinque minuti invece di tre stagioni?

Quello che però il CNC non sembra aver capito , è che il cinema americano, e l’Academy in particolare, non è più quello composto da vecchi produttori col sigaro e la panza (un po’ alla Harvey Weinstein, per capirci) ma – in seguito alle rivendicazioni sociali degli ultimi anni, da #metoo a Black Live Matters – la giuria degli Oscar è più giovane e più varia. Insomma, la Francia da cartolina, con i costumi e il pot-au-feu non li fa più sognare (e per fortuna!)

Anche Variety, il media americano di riferimento sul cinema, ha profondamente criticato il CNC per questa scelta. Nell’articolo in questione Esla Keslassy racconta come non sia la prima volta che la commissione del CNC prende un granchio simile. “Nel corso degli ultimi tre decenni – scrive – diversi film francesi hanno ottenuto riconoscimenti agli Oscar, ma nessuno è stato il film candidato ufficialmente dalla Francia agli Oscar.” Oltre a una scarsa conoscenza del mercato americano la giornalista di Variety rileva come il mondo del cinema francese sia un milieu chiuso: “l’industria cinematografica francese- ha scritto Keslassy – è come un piccolo villaggio in cui un pugno di agenti di talento e studi cinematografici tirano i fili e possono influenzare facilmente le decisioni più importanti.” Un piccolo villaggio in cui quattro persone in un ufficio scelgono che film rappresenterà la Francia agli Oscar, per esempio.

Una piccola élite chiusa e autoreferenziale, difficile da integrare e lenta al cambiamento, insomma. Come lo dimostra l’atteggiamento opaco ogni volta che un rappresentante di questo piccolo mondo antico finisce in uno scandalo per violenza sessuale. Per adesso del CNC non sono state rilasciate dichiarazioni in merito ad una riforma della commissione Oscar, ma non sono in pochi – all’interno della professione e fuori – a reclamare che un vento di novità – magari lo stesso che ha spirato ad Hollywood – scompigli un po’ le carte del vecchio cinema Made in France.

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Dal 2013, Italiani a Parigi.

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