Parigi, città del tradimento, città del peccato…. Tra i mille volti della capitale, tramandatici dalla letteratura, non manca quello della grande crapula delle sue notti sfrenate. Il XVIII e XIX secolo si contendono, tra splendori dell’ancien régime e luccichii del Secondo Impero, la palma dello sfarzo, della baldoria e della lussuria.
Protagonisti di questo mondo dorato, accanto ai galantuomini e alle dame dell’alta società, ci sono loro, personaggi che sfavillarono per brevi stagioni e i cui nomi rimbalzavano di tavolo in tavolo durante le conversazioni mondane: la letteratura ci ha lasciato ritratti strazianti e unici di queste donne, le cortigiane, protagoniste (nella fantasia più che nella realtà storica) di amori romantici, redenzioni in punto di morte o crimini immondi.
Nel 1753 l’abate Prévost pubblica il romanzo L’ Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut. La storia è presto detta : il cavaliere Des Grieux scappa a Parigi per vivere con la giovane e bella Manon Lescaut. Ma quest’ultima, che non sopporta la miseria e desidera vivere nel lusso più volte lo abbandona per altri amanti più ricchi. Per lei Des Grieux truffa e ruba pur di riuscire a riconquistarla, fino a quando i due non vengono imprigionati per aver truffato a più riprese uno dei facoltosi “amici” di Manon. Se Des Grieux riesce a salvarsi, Manon è mandata in esilio in America, dove il suo amante la segue: quando la domanda in sposa però, è obbligato a battersi col figlio del governatore della Louisiana, anch’egli preso d’amore per la bella francese. Credendo di averlo ucciso scappa dalla città con Manon, che morirà di stenti nel deserto, domandando perdono al suo amato. Il libro ha da subito un successo fuori del comune: inizialmente vietato per ragioni di morale pubblica, il testo circola clandestinamente. Amore, sesso, morte, punizione del vizio: tutti gli ingredienti di un best seller del tempo si mescolano in questa storia tragica. La sua fama, però, oltrepassa la Rivoluzione, lo ritroviamo in scena nei teatri dell’Ottocento fino a quando il nostro Giacomo Puccini non se ne ispira per la sua opera omonima.
La triste storia della bella Manon la ritroviamo anche come riferimento (e di una certa importanza), in un altro romanzo che narra la vicenda di una giovane e bellissima mantenuta: La dama delle Camelie, di Alexandre Dumas figlio, pubblicato nel 1848. Questo romanzo ha conosciuto un successo talmente profondo e duraturo (nonostante la critica letteraria, allora come oggi, non l’abbia mai visto di buon occhio) che non sarebbe neppure necessario raccontarne la trama. La difficile storia d’amore tra Margherita Gautier, la più bella e ambita demi-mondaine di Parigi e Armando Duval, giovane galantuomo di buona famiglia ma modesta condizione, è stata ripresa, citata, riproposta talmente tante volte da diventare un archetipo letterario. Volendo tralasciare molti altri adattamenti o citazioni, come non ricordare che Verdi l’ha trasposta in musica, trasformando Margherita in Violetta e Armando in Alfredo per comporre una delle opere più conosciute di tutti i tempi, La Traviata?
Per arrivare a uno dei film-evento dell’inizio del terzo millennio: Moulin Rouge! film di Luhrmann uscito nel 2001, ricalca da vicino la storia d’amore tra i due protagonisti di Dumas, citandone alcuni passi in modo esplicito, seppure l’ambientazione artistica nella Montmartre di inizio Novecento strizzi un po’ l’occhio a un’altra opera (pucciniana questa), la Bohème.
Insomma, se il successo del romanzo di Dumas figlio è incontestabile, restano da capirne le ragioni: dietro la pretesa di mostrare le conseguenze del vizio (Margherita, ricordiamolo, muore di tisi, in povertà e abbandonata da tutti), Dumas apre uno spioncino sulla vita di quelle donne (cortigiane, demi-mondanes, grandes horizontales… non si contano i sinonimi per definire le mantenute) che seducevano la buona società dell’epoca: se le mantenute dell’Ottocento non potevano rivaleggiare in quanto a potere e lusso con le favorite dei re di Francia (vi dice niente Madame de Pompadour?), la loro presenza all’interno del bel mondo dorato della metà dell’Ottocento diviene un dato accettato da tutti. Piccola nobiltà, nuovi ricchi, tutto quel turbinio di dame e signori intorno ai balli, ai teatri e agli spettacoli, è al tempo stesso affascinato e indignato (almeno in apparenza) dal successo di certe di queste belle giovani, che hanno – spesso – nella prostituzione “d’alto livello” la sola chiave per aprirsi la porta di una società ancora profondamente classista. Non si dimentichi che mantenere una cortigiana diventa uno degli status symbol per i nuovi ricchi dell’epoca, che si trovano così a dividere l’amante con duchi e conti: la rivincita della borghesia sulla noblesse passa anche dalla camera da letto. Oggi, in una società che non contempla più le stesse classi o convenzioni di quella del Secondo Impero, La dama delle camelie continua ad affascinare per il sentimentalismo (a tratti un po’ soffocante) del giovane Dumas e per la purezza del sentimento che lo scrittore mette nel petto della giovane prostituta.
Si continuano a incontrare figure di grandi cortigiane nella storia e nella letteratura almeno fino alla Belle Epoque, accanto a nobili e signori, ma anche a musicisti e altri uomini d’arte, ben propensi a cercare la loro ispirazione tra le braccia di queste famose amanti pubbliche. Un’altra indimenticabile figura letteraria è quella di Nanà, protagonista del romanzo di Emile Zola: completamente diversa dalla Margherita ancora così libresca (e così impregnata di romanticismo inizio-ottocentesco), la Nanà di Zola, con calcolo preciso ed astuto accumula ricchezza e lusso sfruttando la passione che suscita nei suoi amanti, senza mai provare niente per loro. Povera, cerca di uscire dalla miseria attraverso il canto e il teatro: una volta accettata la sua totale assenza di talento, non le resta che la via della prostituzione per restare a far parte di quella bella società che l’ha accolta nei suoi ranghi. La sua vittoria, però, non sarà che momentanea; Nanà, avida e incapace d’amore, muore anch’essa in solitudine, di vaiolo. Lo sguardo di Zola, padre del naturalismo letterario, non è compassionevole né accusatorio: nel suo intento di raccontare i diversi strati sociali della Francia della fine dell’800 non può esimersi dal “fotografare” anche questa categoria che, non più appartenente al mondo dei poveri, si trova al tempo stesso ai margini e al cuore della buona società.
Il Novecento, con le sue guerre mondiali e l’accelerazione della modernità spazza via, irrevocabilmente, il mondo di ieri, le sue classi, i suoi costumi, e con queste anche le demi-mondaine, che a quel mondo erano indissolubilmente legate. Ma la letteratura, il cinema e il teatro non restano lontani a lungo dalle filles de joie: dopo le cortigiane l’arte si interessa alle poules, alle prostitute da marciapiede, alle accompagnatrici. Ma questa è un’altra storia. Anzi, molte altre…