Vi hanno sicuramente detto che Parigi è la città dell’amore, o dell’amour. E in effetti una passeggiata sulla Senna al tramonto o un aperitivo al Sacré-Cœur con vista a strapiombo sulla ville si prestano indiscutibilmente all’atmosfera romantica che questa città riserva a chi vi trascorre qualche tempo.
Ma che cos’è davvero questo sentimento, così difficile da oggettivare e forse impossible da descrivere, l’amore ? Fin dai suoi albori, la letteratura e soprattutto la poesia si sono interessate alla sua fenomenologia, sul modo cioè in cui gli esseri umani si innamorano e sui sintomi che la « malattia » d’amore manifesta. Basti pensare al famoso sonetto dantesco « Tanto gentile e tanto onesta pare », dedicato alla misteriosa e charmante Beatrice, dove il poeta si sofferma sul potere erotico dello sguardo della donna amata, l’arma numero uno della femme fatale che per tradizione imbriglierebbe l’uomo nelle sue spire, dando così inzio al processo di innamoramento. I versi danteschi descrivono quest’ultimo come una condizione estatica, celestiale e, di conseguenza, magicamente indescrivibile.
Ma siamo davvero sicuri che l’amore sia qualcosa di etereo e di indicibile ? E se ci fossimo sbagliati per secoli, barricandoci dietro parole preziose e concetti squisiti per cercare di afferrare e possedere un’idea finalmente distorta e utopica di qualcosa di molto più concreto ? E se, al contrario, l’amore non fosse questo soave bouquet di dolcezza e mistero propinatoci dai vari Dante, Ronsard e Hugo ?
Anche François Bégaudeau si annovera fra gli scrittori che hanno cercato di carpire l’essenza dell’innamoramento e le sue conseguenze, ma il romanzo « L’amour » è qualcosa di diverso. Il libro si scosta appunto dalla visione classica dell’amore – quella che pervade le strade di Montmartre al tramonto – e ne propone un’altra, alternativa e fondamentalmente più realistica. È la storia di Jeanne et Jacques, due nomi che annunciano in modo simpatico la caratteristica fondamentale dei due protagonisti: una completa mancanza di « anormalità » o, detto in altri termini, una pregnante ordinarietà.
« Comme par hasard il stoppe le 103 à sa hauteur et retire son casque pour qu’elle le reconnaisse. Ils se demandent si ça va. Ils se disent qu’ils font aller. »
Ovvero, in italiano : « Come per caso, lui arresta il motore della Peugeot 103 all’altezza di lei e si
toglie il casco affinchè lo possa riconoscere. Si chiedono come va. Si dicono che potrebbe andare
peggio. »
Il è Jacques e elle è Jeanne, in uno dei loro primissimi incontri nel romanzo che, come lo rivela la citazione, si sviluppa tutto all’indicativo presente. Tempo grammaticale dell’immediatezza, dell’hic et nunc esistenziale, questo è anche il tempo del vero amore che è in fondo quello spontaneo e soprattutto ineluttabile, che avviene e basta, si realizza senza che noi ci possiamo fare qualcosa. Jeanne lavora alla reception di un hotel et Jacques è muratore per l’impresa edile del padre. I due si conoscono per caso, in una Nantes degli anni ’70, perchè il cantiere di cui Jacques si occupa è giusto di fronte all’hotel di Jeanne. Quotidianamente perciò i protagonisti si vedono, si intravedono e si osservano, finchè un giorno finalmente si parlano, e da quel momento in poi non si lasceranno più. Il lettore non sa che età abbiano, perchè in tutto il romanzo non c’è alcun riferimento cronologico preciso ; si intuisce che il tempo del liceo sia trascorso da poco per Jeanne e Jacques e che i due si godano quindi la spensieratezza dei loro vent’anni. In quelle che sono novanta pagine – una lettura davvero veloce per chi vi si volesse avventurare – e grazie ad un’attenzione linguistica e a una cura stilistica originali, François Bégaudeau riesce a condensare senza mai ridurre, a dilatare senza esagerare una storia d’amore lunga una vita. Il romanzo termina infatti al momento giusto (momento che non spoilereremo), che è anche quello che fa capire al lettore tutta la complessità di ciò che da secoli chiamiamo amore. Una volta chiuso « L’amour » di Bégaudeau, quel che resta al lettore è una piacevole sensazione di speranza e una sorta di ammirazione nei confronti dei due amanti di carta e inchiostro. Pare proprio che l’amore vero esista e che il solo criterio per definirlo tale sia la durata, il tempo inteso come il dispiegarsi di una lunghezza cronologica, ma anche l’accumularsi di momenti, di esperienze che se pure negative non sono meno importanti nella vita della coppia. Tutti questi momenti e queste esperienze formano la storia di Jeanne e Jacques, ma aldilà non c’è nient’altro : l’autore si astiene cioè da qualsiasi tipo di riflessione filosofico-esistenziale, limitandosi a parlarci dei fatti.
La lettura de « L’amour » è interessante proprio nella misura in cui, attraverso la storia di una coppia che niente ha dello straordinario, il libro rivela al lettore l’essenza di questo sentimento. E lo fa senza mai nominarla davvero. Non c’è, nella narrazione di Bégaudeau, nessun tentativo di descriverne minuziosamente le cause e le conseguenze e nessuno sforzo di esaustività. L’amore vero sarebbe allora quello che non si pone nemmeno la domanda di esistere, ma « è » perchè non potrebbe essere altrimenti. Es muss sein alla Kundera [Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, 1984] , ma in chiave meno sfavillante, l’amour raccontato da Bégaudeau ci cattura perchè contiene un po’ una semplice verità.