Giorgio Poi e la “musica italiana” al Trabendo

Può succedere che, dopo tanti anni di vita all’estero, iniziamo a guardare al nostro paese – alla sua storia, alla sua cultura, alla sua musica – con gli occhi di uno straniero. Con uno sguardo che difficilmente ne percepisce la ricchezza, la profondità di campo, l’eterogeneità; uno sguardo che ne cristallizza i contorni e si lascia sfuggire l’incessante cambiamento sotterraneo.

Un evento come il Festival Fiore Verde, oltre a permettere al pubblico francese di conoscere la nuova scena musicale italiana, ha il merito di offrire anche agli italiani di Parigi l’occasione di cambiare prospettiva e di (ri)scoprire la musica contemporanea del Belpaese, lontani dai cliché dell’italianità. Soprattutto se a suonare è Giorgio Poi, il più internazionale dei cantautori indé della sua generazione, che – la storia è nota – ha scelto di tornare a cantare in italiano – e poi a vivere in Italia – dopo tanti anni in cui ha vissuto e lavorato all’estero.

Venerdì sera il pubblico al Trabendo è composto principalmente da italiani. Tanti vivono a Parigi, alcuni sono di passaggio. Qualcun altro è venuto a Parigi per il fine settimana e ne ha approfittato per godersi una serata di buona musica. Non mancano i francesi: spesso in gruppi misti con amici/fidanzate/fidanzati italiani, non ci mettono che pochi minuti per lasciarsi andare all’atmosfera festiva della sala.

Apre la serata un’emozionatissima Her Skin (nome d’arte della modenese Sara Ammendolia) che – complice l’orario aperitivesco e il sole fuori – inizia a suonare davanti a pochi spettatori. Lei non sembra curarsene, “it’s a dream come true” ci dice, e inizia a suonare con una grazia e una delicatezza incantevoli. I primi pezzi – onirici e sospesi – di fronte a un pubblico un po’ rado tingono la sala di atmosfere vagamente lynchiane e decisamente vintage, nonostante la giovane età dell’artista.

In pochi minuti la musica di Her Skin opera l’incantesimo e la sala si riempie a vista d’occhio. Una canzone tira l’altra, come ciliegie di stagione: ballate rock-folk, pezzi più scanzonati dai chiari accenti californiani e alcuni brani dove le chitarre si concedono delle sonorità più cariche e più “grosse”. Le tour est joué: alla fine del concerto Sara è ancora emozionata, ma la sala è piena il pubblico entusiasta.

Cantante Her Skin sul palco al Trabendo di Parigi

L’atmosfera cambia ed è il turno dei Post Nebbia: tanto giovani – Carlo Corbellini, il frontman, è nato nel 1999 – scaldano subito la sala grazie al loro sound riconoscibilissimo, fatto di ritmiche serrate e un misto di pop-rock e funk con un chiaro retrogusto anni ’70. Il tecnico delle luci sembra prendersi al gioco e fasci di luce irradiano la sala del Trabendo. Il pubblico apprezza e si scatena: d’un tratto il caldo non è più un problema per nessuno.

Passa velocissimo il tempo e sale sul palco Giorgio Poi. Inizia a parlare in inglese e poi chiede: “Quanti italiani ci sono stasera?” una folla di mani si alza “Allora parliamo un po’ in italiano!”

Ma non parla molto Giorgio Poi: soprattutto canta. E in tanti cantano con lui, i suoi testi poetici e un po’ surreali, che parlano di un quotidiano a volte malinconico ma mai disperato. Questo caratterizza i testi di Giorgio, rispetto a quelli di tanti altri cantautori della sua generazione: la quotidianità è sempre trascesa dalla poesia; la metafora sta ben piantata per terra ma non si preclude dei voli pindarici anche se a volte, come nella canzone omonima, la stella appena scoperta non è altro che l’aereo di una compagnia low cost.

Ha una bella piuma Giorgio Poi, e un bel sound: pop, rotondo, vintage, schiettamente melodico senza però rinunciare a incursioni nel fertile terreno del rock. Le sue canzoni muovono qualcosa negli ascoltatori, come se richiamassero alla mente dei ricordi di cose che non siamo sicuri di aver veramente vissuto.

Giorgio Poi concatena le canzoni con la naturalezza di chi ha mestiere da vendere. Il tempo sembra sospeso e i testi risuonano in modo particolare in mezzo a un pubblico di italiani all’estero: il pubblico è in comunione con l’artista sul palco. Rococò, cantata a voce spiegata, prende allo stomaco, e poi Il tuo vestito bianco, Vinavil… Alla fine di Giorni Felici Giorgio smolla la chitarra e si mette al clarinetto, che prende quasi il posto della voce. E poi arriva il momento tanto atteso: “Questa volevo dedicarla a tutti voi, che magari vivete qua…” i primi accordi de La musica italiana si diffondono in sala, mentre le luci di scena tingono il palco in rosso bianco e verde. In un’altra epoca, che i più giovani non possono conoscere, sarebbe stato il momento in cui tutti tiravamo fuori gli accendini.

Il tempo – che sembrava sospeso – finisce per imporsi e Giorgio annuncia l’ultima canzone: parte Tubature, tra gli applausi del pubblico che accompagna la prima strofa battendo le mani. È il momento di separarsi, ma prima di lasciare il palco Giorgio si lascia andare a una sorta di confidenza, che ci lascia con un po’ di curiosità e molta impazienza: “Questo sarà l’ultimo concerto in questa forma per un po’… Ma stasera penso di poterlo annunciare: tornerò presto a Parigi per fare un concerto al pianoforte… Una cosa al Louvre”

Come, come, come? Cosa hai detto Giorgio?

Una cosa è sicura: di qualunque cosa si tratti, i vostri fedeli reporter di Parigi Grossomodo vi terranno informati!

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Dal 2013, Italiani a Parigi.

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