Tre italiani si incontrano per la prima volta a margine di una serata parigina: festa in casa, concerto in un centro sociale, manifestazione contro la riforma delle pensioni… Il contesto è indifferente. La certezza è che, in capo a dieci minuti di conversazione almeno uno di questi argomenti sarà affrontato, forse due, ma magari tutti e tre: il clima, il prezzo degli affitti a Parigi e la cucina dei francesi.
E come potrebbe essere altrimenti, mi domando io, in una città dove a fine maggio stiamo ancora con le calze e il cappotto e dove un 12 metri quadri ti costa quanto una villetta a schiera in provincia di Arezzo? Eppure, nonostante il salasso mensile provocato dall’affitto e le dosi massicce di vitamina D prescritteci dal medico ad ogni cambio di stagione c’è un solo argomento sul quale tutti, ma veramente tutti, gli italiani che vivono a Parigi saranno sempre pronti a sputar veleno sugli autoctoni. Perfino quelli che stanno qua da tre settimane ed hanno ancora gli occhi a forma di cuore quando attraversano il Pont Neuf a piedi. Perfino quelli che sono venuti qui con un contratto vero e hanno trovato un loft nel quinto arrondissement.
I francesi stanno alla cucina italiana come i fratelli Vanzina stanno al cinema d’autore. Altrimenti detto: non ce la possono fare. Fosse solo la crème fraîche nella carbonara, uno ci si potrebbe quasi abituare (quasi). Ma no, quella è solo la punta dell’iceberg. Un iceberg fatto di pizza con il kebab sopra, di pastasciutta talmente scotta da poterci isolare la doccia a mo’ di mastice, e di caffè che il caffè non sa neppure cosa sia.
È un dato di fatto: la cucina italiana è, probabilmente, una della più incomprese dai francesi, che – nonostante non si risparmino in complimenti sulla gastronomia del Belpaese – non sembrano in grado, una volta rientrati chez eux, di applicare un minimo di buon senso e finiscono per assimilare alla cucina italiana il pollo servito con le tagliatelle al burro al posto del contorno e la pizza all’ananas.
Tutto questo, ovviamente non è senza conseguenze: le più pesanti sono quelle che coinvolgono conviventi e coinquilini in discussioni infinite e logoranti. Dal momento in cui si fa la spesa (posa subito quei ravioli in barattolo, cosa credi, che non ti veda?) a quando li vedi buttare la pasta nell’acqua ancora fredda il casus bellus è sempre in agguato. “Ma come, non basta mettere un hamburger nel concentrato di pomodoro per fare il ragù?” Cosa volete rispondere a domande del genere? “Perché è vietato dalla convenzione di Ginevra?”
Ma anche chi non condivide il tetto con un francese non è mai al sicuro da una situazione a rischio. Tra le più pericolose troviamo:
La cena dai futuri suoceri
Che avevano una nonna italiana, che adorano l’Italia, che sono stati in viaggio di nozze a Venezia… E quindi perché non cimentarsi in una bella cena all’italiana per la loro adorata nuora/ il loro adorato genero? Così, tanto per farla/o sentire a casa. Preparatevi all’antipasto (risotto, perché chi tra di noi non ha mai preparato il famoso risotto-in-antipasto?), seguito – a scelta – dalla carne accompagnata da pasta in bianco o dalle lasagne al pollo e crema (sic).
L’amico che ti usa da cavia
Perché da sempre ama spignattare, e non vede l’ora di farti assaggiare i suoi cannelloni. I suoi cannelloni annegati nel burro e nella crema. Generalmente è lui che ti propone una carbonara cotta nel latte, o una marinara cotta nell’olio: il tutto condito da frasi terribili come “tutti molto bene” o “come queli dela nona” che ti fanno venire voglia di piangere ancora prima di mangiare.
L’amica che segue la moda
Ora, io mi considero una persona dai gusti veramente molto aperti, specie in fatto di gastronomia. Brutalmente detto: io mangio tutto, assaggio tutto e mi piace pure l’andouillette. E a me il tartufo piace proprio tanto. Però vorrei lanciare un appello internazionale: vi prego, basta basta basta chiedere tartufo in ogni piatto italiano, porca miseria. Ormai non c’è bettola fintoitaliana da tre soldi che non proponga nel suo menù almeno cinque piatti al “tartufo”. E la vostra amica modaiola non sembra cosciente del fatto che in uno stato che conta 20 regioni (Molise incluso), ognuna con specialità gastronomiche da restare senza fiato, c’è qualcosa di più da assaggiare che questo benedetto fungo. #bastatartufopercaritàdiddio
Gli amici che vengono a cena da te
Anche quella che sembra una situazione di tutto riposo finisce per diventare un tour de force. Vuoi perché hai deciso di educare i tuoi amici transalpini ai gusti autentici di casa tua e quindi ogni volta che li inviti a cena ti immedesimi in tua nonna e ti metti a cucinare dalle 8 del mattino (cosa c’è di meglio dell’odore del soffritto per svegliarsi?). Vuoi perché ogni volta che servi una portata ti senti come il CT della Nazionale in conferenza stampa (“ma quindi l’acqua la sali prima o dopo che bolla?” “che spezie ci sono nella salsa?” “che marca di pasta usi?”). Ma soprattutto perché non importa quanto sei riuscita ad educarli, arriverà sempre il momento fatidico della delusione.
Per me è stato questo: dopo diverse cene improvvisate (carbonara “per modo di dire” -coi lardon-; aglio olio e peperoncino e altre declinazioni dell’arte dello sbrogliarsi all’italiana) invito un’amica francese a cena. Il menù prevede tagliatelle al ragù. Ragù vero, si capisce: carne del macellaio, secoli di cottura a fuoco basso… Di quello che impregna la casa di profumo di lasagne per una settimana. Tutta fiera lo servo in tavola, tra il giubilo dei miei commensali. Tutti, eccetto – ovviamente – la francesina che dopo un assaggio mi guarda dicendo: “buono eh, ma preferivo la carbonara dell’altra volta”. Quella fatta con i lardon e il parmigiano.
Ovverosia perle ai porci.
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