« Bonsoir, moi c’est Juliette »
Lunga pausa. Un abbozzo di sorriso. Qualche frase di circostanza, in genere sul tempo, su dove abito, su quale sia la mia fermata della metro, sull’italianità, e poi, lei, l’immancabile, l’onnipresente, la regina delle domande del parigino medio :
« ET SINON TU FAIS QUOI ? »
« Ma fatti gli affari tuoi! », vorrei rispondere quasi sempre. Possibile che sentano tutti l’incontrollabile impulso di incasellarti in una classe di mestieri? Non vi bastano il mio sorriso radioso, la mia battuta pronta, la mia vastissima cultura di cazzate scovate su internet? Non possiamo conversare d’altro? Invece no, a causa di un eccesso di gentilezza, alla fine rispondo educatamente, con una perizia e un savoir-faire che ho affinato in cinque anni di lente e sofferte osservazioni sociologiche, in cui ho imparato quanto segue.
Se hai da sfoderare un CDI nella pubblicità, nel marketing, nella comunicazione, se sei intermittente dello spettacolo (quoi que…) o ti guadagni da vivere con un’attività artistica, allora vai libero. Puoi dire la verità. Anche se, in base a chi ti trovi davanti, puoi sempre giocare al rialzo, inventarti qualche déplacements all’estero che in realtà non esiste, oppure, che ne so, fare un accenno all’intenzione di metterti in proprio o di prenderti un anno sabbatico per fare il giro del mondo.
Ad ogni modo, vai tranquillo, tu stai in una botte di ferro.
Sono tutti gli altri a doversi fare quattro calcoli prima di rispondere alla fatidica domanda. Non perché ci sia nulla di male, perlamordiddio, nel fare un mestiere comune, è che qua i mestieri comuni semplicemente non esistono. Un po’ come nella grammatica d’inglese al liceo: lawyer, doctor, teacher, pilot, astronaut. Ma secondo te, mio padre fa l’astronauta? Ma tipo segretaria, falegname, spazzino, vi faceva fatica scriverli? Ecco, a Parigi è uguale. Eppure quando vai al supermercato è la cassiera a farti lo scontrino, al bar è il cameriere a portarti da bere e il fattorino a consegnarti le pizze. E però tutti questi mestieri non sono repertoriati. Non sono abbastanza glamour, capisci? L’autocensura parigina impone di non nominarli mai durante la conversazione. Di fronte alla maledetta domanda, hai a disposizione diverse opzioni:
a) ricorri a un eufemismo. Tipo: “Lavoro nella ristorazione”, oppure “Sono impiegato nella grande distribuzione”, o ancora “Mi occupo di gastronomia”.
b) sorvoli. Spero che tu abbia almeno uno straccio di velleità artistica che possa salvarti la faccia. Non importa se passi le tue giornate a rispondere al telefono e una sera a settimana segui un corso di teatro. Tu, ragazzo, sei un attore. Se ti guadagni da vivere servendo caffè al bar dell’angolo, ma in vacanza fai i filmini ai tuoi amici, sei un film maker! Perché qua bisogna difendersi, rispondere pan per focaccia, ripagare con la stessa moneta! Il parigino medio non ve lo dirà mai che è disoccupato e vive con l’RSA. No, lui “à la base, il est musicien”, però fa un genere di musica così raffinato e complesso che nessuno lo capisce, poverino, e allora si è risolto a suonare da solo, nella sua cameretta, componendo melodiosi pezzi al ritmo di una sedia percossa da un battipanni. Ve lo giuro, esiste. Storie di vita vissuta.
c) inventi. Però dev’essere bella grossa. “Faccio la fotografa per National Geographic” è la mia preferita. Poi stanno tutti zitti, giuro. Puoi anche divertirti ad entrare nei dettagli, racconti del tuo amico sherpa, di quanto è stato facile imparare lo swahili e di quanto faceva freddo nella Terra del Fuoco. Che ci credano o no, è un’attività divertentissima. Vi svolta la serata.
Insomma, nel grande calderone parigino del “sei quello che fai” bisogna saper sfoderare tutte le proprie velleità istrioniche assopite, e (ed è lo stesso motivo per cui, nella ricerca di un appartamento, è opportuno dare una ritoccata al dossier) date una fotoscioppata anche al vostro cv! Lo fanno tutti!
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