Ha aperto oggi al Centro Pompidou l’esposizione collettiva dei quattro finalisti del prestigioso Prix Marcel Duchamp 2016: Kader Attia, Yto Barrada, Ulla von Brandenburg et Barthélémy Toguo.
Questa manifestazione annuale è organizzata di concerto con l’ADIAF (Association pour la Diffusion internationale de l’art français). Arrivato alla sua sedicesima edizione, il Prix Marcel Duchamp consacra ogni anno un artista francese o residente in Francia, con l’obiettivo di favorire la sua reputazione internazionale. Per la prima volta dalla sua creazione i quattro finalisti vengono presentati in un’unica mostra collettiva nella Galerie 4 del Centro Pompidou. Si tratta di un’occasione per scoprire le opere di questi artisti spesso poco conosciuti al grande pubblico.. Questa prima mostra collettiva, pur essendo articolata sulle quattro esposizioni individuali mette in evidenza le linee comuni delle opere esposte: lo sguardo attento sull’attualità, l’approccio antropologico, l’interesse alla compenetrazione di arte e scienza. Ed è proprio quest’ultimo a costituire una sorta di fil rouge tra le quattro installazioni.
Virus ed epidemie, per esempio, sono al centro della grande installazione di Barthélémy Toguo, giovane artista e performer camerunense, che – in equilibrio tra arte e scienza, ed in collaborazione con l’istituto Pasteur – espone dei modelli tridimensionali di cellule malate su di un tavolo da laboratorio, circondate da decine di enormi vasi in porcellana dipinti. Da un lato l’approccio scientifico, dall’altro la simbologia della malattia, dipinta a tinte pacate sui vasi. Yto Barrada continua la sua ricerca su Thérèse Rivière, etnologa francese che negli anni ’30 si interessò al Nord Africa, dove viaggiò per molti anni, prima di finire internata, e la sua opera indaga i fondamenti dell’etnologia. In una stanza ricostruita, tra numerosi reperti provenienti da Algeria e Marocco, Barrada cerca di ricostruire una biografia ideale, interrogando lo spettatore sulla possibilità di racchiudere un destino in una stanza o una cultura in una categoria.
L’opera di Ulla von Brandenburg si pone al crocevia tra performance, installazione e architettura. In un video ritmato dal rumore delle percussioni, un gruppo di persone si muovono in uno spazio bianco, metafisico, sovrastato da un’immensa scala bianchissima. Fuori dal video lo spettatore si trova di fronte alla stessa scala bianca, che diventa una piattaforma immaginata dall’artista per dei rituali contemporanei. L’opera di Kader Attia, infine, riflette sul fenomeno del cosiddetto “arto fantasma”, ossia la sensazione anomala di persistenza di un arto dopo la sua amputazione. Partendo dalla constatazione di questa sindrome, l’opera di Attia la usa come metafora per parlare delle amputazioni del corpo sociale. I gruppi umani possono essere colpiti dalla sindrome dell’arto fantoma, a seguito di una menomazione o di una perdita? Traumi collettivi, genocidi, schiavitù… Quali sono le conseguenze psicologiche di tutte le ferite che la storia ha inferto al corpo sociale?
Il premio Marcel Duchamp verrà conferito la settimana prossima a uno dei quattro finalisti. Personalmente ho apprezzato il lavoro di ricerca di Kader Attia e la suggestiva installazione di Toguo, ma ho trovato che tra le linee comuni dei quattro finalisti vi fosse anche un’eccessivo intellettualismo che rende tutte le opere (ad eccezione, forse, di quella di Attia) di difficile comprensione per il pubblico. Si tratta comunque di un’ottima occasione per scoprire i nuovi talenti dell’arte contemporanea, in mostra a Beaubourg fino al 30 gennaio 2017!