Del perché mi sono “astenuta” e cosa questo ci dice sulle elezioni europee

Questo finesettimana, per la prima volta da quando sono maggiorenne, non ho votato. Vivendo all’estero avevo fino alla sera dell’8 giugno per andare a votare per i parlamentari del mio paese d’origine, l’Italia, alle Elezioni Europee di quest’anno. Avevo ricevuto la tessera elettorale e mi ero segnata la data sul calendario, ma non sono comunque andata. Per il mio paese d’origine, quindi, il mio non voto è contabilizzato nel computo degli astensionisti.

Quegli astensionisti che poi vanno a nutrire la analisi politiche degli opinionisti, gli articoli dei giornalisti, i blabla dei politici. L’antipolitica, il disimpegno, il riflusso (ma esiste ancora questo termine in politica o è un’espressione da veterocomunista ormai ascritto unicamente al vocabolario dei gastroenterologi?), tutta quella roba lì.

Oggi, de facto, io sarò nello stesso sacco di quelli che questo fine settimana hanno preferito andare al mare, di quelli che non si riconoscono in nessun partito, o di quelli che semplicemente se ne fregano del voto democratico.

La differenza è che se fossi andata a votare, io avrei commesso un reato, punibile (ai sensi dell’articolo 49 della legge del 24 gennaio 1979, n.18, per i più pignoli) con la reclusione da 1 a 3 anni e con la multa da euro 51 a euro 258. Che, per esercitare un diritto costituzionale, mi pare un conto un po’ salato.

Infatti, dal 2022 ho la doppia cittadinanza, francese e italiana. Posseggo i documenti di entrambi i paesi e – ovviamente – posso votare alle elezioni politiche di entrambi i paesi. Al momento delle elezioni europee, però, si crea un cortocircuito: ad ogni scrutinio devo scegliere se votare per gli eurodeputati italiani o per quelli francesi, il doppio voto essendo vietato per legge e – come detto poco fa – per legge punibile con la galera.

Sia chiaro: ho a lungo accarezzato l’idea di fare la gnorri e di andare comunque a votare due volte, principalmente perché sono sicura che le probabilità di essere arrestata e processata per questo reato siano dello stesso ordine di quelle di vincere al Superenalotto. E però esistono. E – questo sia detto per inciso – io sono particolarmente sfigata. Se mi scordo a casa l’abbonamento della metro posso star certa di beccare un controllore, perfino sulla 2 a Stalingrad (ufficialmente no go zone per gli sbirri dal 1998). Se sbaglio a dichiarare le tasse e metto 5 euro di meno del dovuto mi trovo la guardia di finanza alla porta. Insomma, se c’è una persona su questo pianeta che rischia di farsi processare per abuso di diritto costituzionale, quella sono io.

Ecco perché non sono andata a votare sabato, volendo andare domenica a votare per un partito francese nel quale mi riconosco di più, che mi sembra mandare le persone giuste a Bruxelles e del quale conosco meglio la linea politica perché lo seguo ogni giorni sui giornali e le radio del paese in cui vivo.

Ciononostante, mi sono resa conto che il fatto di non poter votare per i seggi degli europarlamentari italiani mi scocciava parecchio, e questo a prescindere dal fatto di non avere un coup de coeur per nessuna delle liste candidate. Quello che mi infastidiva era il fatto di non poter utilizzare il mio voto come un messaggio contro il governo attualmente insediato a Roma. Mi rodeva non poter mettere un bollettino nell’urna che significasse: questo governo di inetti pericolosi non mi rappresenta.

Ma non è a questo che dovrebbero servire le elezioni europee. Sia chiaro, so benissimo che è a questo che si è ridotta la campagna elettorale italiana, che i partiti l’hanno trasformata in un plebiscito per o contro il governo di Meloni, arrivando alla vergogna dei e delle capolista che non siederanno mai in Parlamento a Bruxelles – una roba che se fosse per me dovrebbero esser processati e condannati loro, altro che io, ma lasciamo perdere.

Insomma, il problema delle elezioni europee è sempre lo stesso cane che si morde la coda: per cinque anni Bruxelles è il capro espiatorio di tutti i mali, l’asilo per deputati incompetenti, il parcheggio per i politici trombati e via dicendo. Poi, quando si tratta di votare, le elezioni europee diventano l’occasione di fare i conti con i governi nazionali (il che è pure comprensibile, ribadisco: io stesso volevo votare in quell’ottica…): il che ci porta, spesso, a mandare a Bruxelles deputati incompetenti o politici trombati.

L’unica soluzione per uscirne, che poi è anche l’unico modo perché le elezioni europee smettano di essere un teatrino per i politici e finiscano per diventare una cosa seria (cioè presa sul serio dagli elettori), sarebbe un voto su scala europea e quindi per dei partiti europei.

Ma credo che ne siamo ancora molto lontani.

 

CHI SIAMO

Dal 2013, Italiani a Parigi.

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