A due settimane dall’inizio della Coppa del Mondo di calcio, sarebbe legittimo immaginare che la Francia – campione in carica e tra le favorite di questa nuova competizione – viva in uno stato di eccitazione quest’attesa, e che le conversazioni si concentrino sulla formazione della squadra di Didier Deschamps.
Ma più che la presenza di Giroud o di Pogba nella rosa dei Bleus convocati in Qatar, la questione centrale sembra essere quella del boicottaggio da parte degli spettatori della manifestazione sportiva generalmente più seguita al mondo. Nelle ultime settimane, infatti diverse città francesi hanno improvvisamente annunciato che avrebbero “boicottato” l’evento. Come? Niente fan zone, niente maxischermi, niente eventi pubblici legati alla coppa del mondo. Il tutto a prescindere dai risultati della Francia durante le competizioni.
Anche numerosi personaggi pubblici si sono espressi per un boicottaggio personale della Coppa del Mondo, come l’attore Vincent Lindon e l’ex calciatore Eric Cantona. A livello europeo il primo paese a chiedere un boicottaggio vero e proprio della Coppa del Mondo è stata la Norvegia. A seguito delle proteste numerose nazionali (oltre alla Norvegia: la Danimarca, l’Olanda o ancora la Germania) sono scese in campo con delle t-shirt le cui stampe richiamavano al rispetto dei diritti umani.
Nella lista delle città che hanno scelto di rinunciare a maxischermi e fan zones, c’è anche Parigi.
«Le condizioni sociali e ambientali di questo evento non corrispondono al modello che vogliamo promuovere – aveva dichiarato Pierre Rabadan, assessore allo sport a Parigi – inoltre non ci sembrava appropriato preparare grandi spazi all’aperto per la trasmissione dei match in pieno inverno». Parigi capofila del boicottaggio allora, come sembrano suggerire certi titoli? Ni.
Rabadan ha infatti aggiunto che questa scelta non coincideva con la richiesta di un boicottaggio dell’evento, prima di concludere «sappiamo benissimo che molti francesi seguiranno il percorso dei Bleus in Qatar…. Non allestire un’area per trasmettere le partite non equivale a boicottare l’evento.» Cauto vero? Ma come potrebbe essere altrimenti quando il Paris Saint Germain, squadra di calcio parigina (oltre che uno dei club sportivi più antipatici del mondo) è proprietà del Qatar? Sì, avete letto bene: non di un qatariota. Ma proprio del Qatar, attraverso un fondo sovrano d’investimenti, chiamato Qatar Investment Authority.
L’importanza del Qatar nella politica economica e nella politica estera della Francia, così come l’utilizzo dello sport come strumento di soft power da parte del piccolo emirato mediorientale è un argomento vasto e decisamente complesso, che merita uno spazio decisamente più vasto di quello proposto in questo nostro modesto editoriale. A questo proposito consiglio a tutti i lettori di andare a leggere questo articolo dell’ottimo Francesco Maselli sul suo Marat e a spulciare il sito football club geopolitics, in cui il giornalista Kévin Veyssière approfondisce temi di attualità geopolitica attraverso il prisma del calcio e dello sport in generale.
Tornando a noi: quali sono, quindi le città che hanno deciso di rinunciare all’installazione di fan zones e maxischermi? Strasburgo è stata tra le prime città francesi a prendere questa decisione: “Strasburgo, capitale europea e sede della Corte europea dei diritti dell’uomo non può rendersi complice degli abusi denunciati da numerose ONG durante la costruzione degli stadi per questa Coppa del Mondo» ha dichiarato la sindaca Jeanne Barseghian. A seguire, numerose città, soprattutto guidate da giunte di centrosinistra hanno fatto la stessa scelta; tra queste Lille, Marsiglia, Bordeaux, Tolosa, Brest e Nancy.
Un mondiale più che controverso
Non è certo la prima volta che una grande manifestazione sportiva provoca proteste e appelli al boicottaggio: ultimi in termini cronologici, i giochi olimpici invernali di Pechino avevano suscitato forti proteste, in particolare a causa del trattamento della popolazione uigura.
In qualche misura, però, i Mondiali in Qatar accumulano talmente ragioni per indignarsi che sembrano essere proprio la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Già nel 2010 l’attribuzione dell’organizzazione della coppa del mondo all’emirato suscitò polemiche e accuse di brogli elettorali. Anni dopo diverse inchieste giornalistiche misero in luce, attraverso la fuga di alcune informazioni – i cosiddetti Fifa Files – gli intrighi e le manovre di Mohamed bin Hammam per portare la coppa in Qatar, ma ormai l’assegnazione era stata fatta.
Nel 2010, però, il Qatar non possedeva neppure uno stadio di livello internazionale. Negli ultimi anni i lavori sono avanzati a ritmo forzato per costruirne otto. Otto stadi che – visto il clima del Paese – sono completamente climatizzati. Dovrebbe bastare per essere indignati, in pieno riscaldamento globale…
Ma purtroppo non è tutto. Nel febbraio 2021 il Guardian ha pubblicato un’inchiesta nella quale stimava a più di 6 500 gli operai stranieri, la maggior parte provenienti da India, Bangladesh, Nepal e Pakistan, morti nella costruzione degli stadi per la Coppa del Mondo in Qatar. Numerose ONG che si occupano del rispetto dei diritti umani hanno avallato queste cifre. Siamo distanti anni luce dai 3 decessi del discorso ufficiale di FIFA e Qatar. A questo proposito vi consiglio questo breve documentario di Amnesty International.
Ciliegina sulla torta: oltre all’impatto climatico ella costruzione dei giga-stadi e della follia di climatizzare degli stadi da 40 000 posti, sono previsti 60 voli quotidiani tra Dubai e il Qatar per permettere ai tifosi di fare la spola (in Qatar non ci sono abbastanza camere d’albergo per contenere tutti i tifosi attesi). Global warming who?
Ipocrisia o campanello d’allarme?
Non sono in pochi a dire, con il calciatore Joshua Kimmich, che queste proteste arrivano dieci anni troppo tardi. Non hanno torto, ma non hanno neppure completamente ragione. Le ONG richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale e della FIFA sulle condizioni di lavoro in Qatar perfino da prima dell’assegnazione della Coppa del Mondo.
Certo, è troppo tardi per impedire lo svolgimento della competizione, ma non è troppo tardi per lanciare un segnale di dissenso contro quello che è diventato il calcio – che, come ogni sport, dovrebbe promuovere dei valori di solidarietà ed apertura.
Per adesso la questione rimane personale: al singolo tifoso la scelta di guardare – o meno – le partite della Francia.
Per fortuna per noi italiani il boicottaggio sarà molto meno difficile!