A volte, tipo a metà mattina oppure la sera dalle 21 in poi ma solo durante la settimana, la metro è un giardino dell’Eden in cui c’è posto a volontà. Allora gli esseri umani che la occupano, vivono in comunione l’uno con l’altro e decidono senza alcuna pressione sociale quale posto occupare all’interno del loro habitat: c’è chi preferisce reggersi al palo per discutere in maniera più agevole con il suo entourage, chi siede sullo strapuntino perché tanto scenderà tra qualche fermata, chi ancora ha scelto un vero posto a sedere. È l’età dell’oro del buon selvaggio, quella in cui la terra offre in abbondanza tutti i prodotti dei quali l’uomo ha bisogno, e l’uomo, dal canto suo, ha il privilegio di decidere come passare il tempo, libero dalle catene del lavoro, della ricerca a tutti i costi del posto, perché tanto se lo vuole non ha che da coglierlo senza sforzo.
In orario di punta, l’atmosfera cambia completamente. Tra gli uomini nascono sentimenti di inimicizia, è la legge del più forte che si instaura, homo homini lupus, le bocche da sfamare sono duplicate, quadruplicate, decuplicate e le risorse non sono più sufficienti per tutti. La stratificazione sociale ha dato un nome e un significato alle posizioni che l’uomo occupa all’interno del suo habitat. Chi parte da una situazione privilegiata, per origine geografica (per esempio, sale al capolinea) oppure per nascita (un uomo abbastanza imponente da incutere timore o una donna minuta in grado di infilarsi in ogni anfratto dischiuso tra la folla), avrà più facilità degli altri nell’accedere alla posizione più invidiata del suo ambiente: il posto a sedere. Un posto relativamente comodo, individuale e, soprattutto, a tempo indeterminato. A meno che non salga una donna incinta oppure una persona anziana, ma le probabilità sono molto basse, conserverà indisturbato il suo status fino alla discesa.
Per tutti gli altri, è la lotta. È un mondo cattivo e ostile, quello della metro, in cui sono sentimenti come la competizione e l’ambizione a farla da padroni. Occorre essere scaltri, furbi, non guardare in faccia nessuno, pestare i piedi, se necessario, per riuscire a raggiungere il posto a sedere, la posizione più ambita, perché comoda e socialmente riconosciuta. Soltanto in pochi ce la faranno.
Ad un’osservazione anche superficiale della stratificazione sociale propria dell’habitat metro, si delineano così alcune categorie di riferimento:
– il privilegiato: colui che, con poco sforzo, è riuscito ad accaparrarsi il posto a sedere e sa che, in assenza di eventuale ma improbabile incidente di percorso, lo conserverà fino alla fine del viaggio;
– l’arrampicatore sociale: quello che, con furbizia, osserva la situazione intorno a sé e agisce con prontezza una volta giunto il momento propizio, quello che, appena può, si piazza tra un blocco di quattro posti e l’altro, sperando che alla fermata successiva qualcuno scenda. Tuttavia, malgrado la forte determinazione associata spesso a una scarsa predisposizione al rispetto delle elementari regole del vivere civile, non è detto che questo soggetto sia destinato al successo, essendo la sua azione determinata in buona parte dall’alea della fortuna. Può infatti verificarsi il caso per cui la persona a sedere si alzi e si rivolga verso l’uscita proprio dal lato in cui l’arrampicatore/avvoltoio attende. Ogni resistenza è vana, il soggetto è costretto a spostarsi lasciando suo malgrado ad altri il privilegio tanto ambito del posto.
– il borghese piccolo piccolo: quello che si è fatto strada fra la gente ed è riuscito ad ottenere un posto sullo strapuntino. La sua posizione è viziata dall’instabilità, nulla è sicuro né a lungo termine, basta una manciata di persone in più e lui è costretto ad alzarsi, abbassandosi metaforicamente allo stesso livello della plebe dinanzi a lui. A volte, mantiene la posizione seduta nonostante l’evidenza e la buona creanza gli impongano il contrario. Farebbe qualsiasi cosa per un posto vero, infatti, di tanto in tanto, si gira a dare un’occhiata.
– la plebe: ovvero tutti gli altri, quelli pigiati l’uno contro l’altro o spiaccicati contro il finestrino, quelli costretti ad annusare il puzzo di sudore dall’ascella del proprio vicino, talmente impegnati nella lotta alla sopravvivenza da non potersi nemmeno concedere il semplice svago di un libro. Resta loro il gioco del solitario sul telefonino oppure, quando la situazione è disperata, soltanto l’iPod a rendere più sopportabile l’attesa della propria fermata.
– il borderline: non ha, in quanto a mezzi e ambizioni, in apparenza nulla di diverso rispetto alla categoria precedente, ma, a differenza di questa, è riuscito a ritagliarsi un piccolo spazio di relativo confort all’interno dello stesso gradino sociale: è appoggiato con la schiena al finestrino in fondo. Sa che, da quella posizione, non potrà mai ambire ad un posto a sedere vero, al massimo, se la fortuna gliene concederà la grazia, potrà sedersi su uno strapuntino quando e se molta gente scenderà di colpo. Però gli va bene così. Si accontenta della sua relativa comodità ed ha l’equilibrio giusto per concedersi il passatempo di un quotidiano o di un fumetto. Non è determinato e con l’ambizione ci si pulisce il culo, ma cerca di godersi il viaggio nella maniera più serena possibile.
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