État d’Urgence, déchéance de nationalité et similia : il festival dell’inutilità politica
Dopo essere passata al senato e approvata dalla commission de lois la legge sul prolungamento dello Stato di Emergenza fino al 26 maggio sarà votata all’Assemblea Nazionale domani: come tradizione vuole, una misura che non serve a niente deve essere prolungata. Fosse solo la lampante mancanza di risultati apprezzabili a caratterizzare l’applicazione dell’état d’urgence, ancora se ne potrebbe quasi parlare, ma ovviamente, per non farsi mancare nulla, oltre a non dare risultati concreti degni di questo nome lo stato di emergenza fa pure più danni della grandine. Il 4 febbraio Amnesty ha pubblicato un dossier sull’impatto dello stato d’emergenza in Francia a quasi tre mesi della sua applicazione e il quadro che dipinge è tutt’altro che rassicurante. Per farla breve : perquisizioni a tutto spiano senza bisogno di un mandato giudiziario, giustificabili con motivazioni piuttosto generiche, che sono state utilizzate anche contro dei cittadini che nulla avevano a che vedere con il terrorismo islamico. Spesso e volentieri in piena notte, le perquisizioni si svolgono secondo un canovaccio da serie poliziesca americana di seconda categoria: spallate alle porte, pistole puntate, gente ammanettata e via. Insomma, un bell’esempio dei valori repubblicani che vogliamo difendere dall’oscurantismo islamico.
Tanto più che ultimamente per quanto riguarda le misure inutili i deputati sembrano avere l’imbarazzo della scelta, tra riforma costituzionale e déchéance de nationalité; insomma, roba da far rimpiangere le interrogazioni parlamentari sul diametro dell’andouillette. Il dibattito sull’estensione della déchéance de nationalité (la possibilità di ritirare la nazionalità francese a cittadini binazionali colpevoli di crimini di terrorismo ndr) è il top del top della fuffa politica, come è ben sintetizzato in questo articolo di Le Monde.
Una legge sulla déchéance de nationalité esiste già, ma riguarda soltanto i cittadini dotati di doppia nazionalità e naturalizzati francesi da meno di quindici anni, il quid del dibattito politico è quindi l’estensione di questa misura a tutti i binazionali (o plurinazionali), che siano nati francesi o naturalizzati. Dal momento che gli accordi internazionali vietano di creare degli apolidi la legge non si potrà mai applicare a un cittadino che possiede solo la nazionalità francese. Oltre ad essere un abominio giuridico e morale si tratta, per restare coerenti, di una norma puramente simbolica, che non aiuterà in nessun modo la cosiddetta “lotta al terrorismo”. A meno che non vogliamo immaginare che qualcuno che è pronto a farsi saltare in aria sbraitando in mezzo a una folla di gente rinunci a farlo per paura di perdere la cittadinanza francese.
Pendant ce temps-là à Paris…
Come sempre, Anne Hidalgo, nota per prendere posizione su argomenti che non sembra capire (e per andare a render visita ai rifugiati in Irak mentre fa sgombrare i migranti della Chapelle), è riuscita a superare tutti con una proposta degna della sua statura politica: no alla déchéance de nationalité, reintroduciamo piuttosto l’indignité nationale. Applicabile a tutti i cittadini francesi, questa misura prevede la perdita dei diritti civili, il ritiro del passaporto e il divieto di ricoprire cariche pubbliche: insomma, non si scherza, se sei condannato per terrorismo non puoi candidarti come sindaco di Gif sur Yvette.
Mentre il sindaco di Parigi si intromette nella discussione politica nazionale, la vita del parigino medio scorre tranquillamente, nonostante le assurdità dello stato di emergenza permanente. Il ritorno alla “normalità” dopo lo shock è stato sancito poche settimane più tardi degli attentati, quando in metropolitana invece di guardarsi intorno terrorizzati i parigini hanno ricominciato a guardarsi intorno incazzosi, come d’abitudine. Certo, adesso per essere sospettati di terrorismo è sufficiente cercare nello stesso pomeriggio gli orari di visita del Musée d’art et d’histoire du Judaïsme e il prezzo di un volo per Marrakesh, e oltre alla paura di farsi impallinare da un terrorista mentre vai a comprare il pane c’è pure quella di farsi tirare addosso dalla polizia perché quando imprechi il tuo toscano stretto assomiglia un po troppo all’arabo, ma la vita va avanti.
Vieni seriamente assalito dal dubbio soltanto nel momento in cui prendi la metropolitana, dove ogni cinque minuti gli altoparlanti ti ricordano di segnalare agli agenti della RATP tutti i comportamenti inconsueti e tu ti domandi: ma chi ha scritto il testo di quest’annuncio l’ha mai preso la metro? Perché, tra quelli che annunciano la fine del mondo, quelli che cantano le poinçonneur des lilas a cappella sulla linea 2 e quelli che appoggiano la bocca al palo del metrò (vi giuro ci sono), gente che si comporta normalmente là sotto io la devo ancora incontrare. E cantare “trottolino amoroso dududadada” nel corridoio tra la 4 e la 12 a Marcadet Poissonnière è un comportamento abituale o rischio di finire schedata?
Ma soprattutto, d’accordo nel non lasciare incustoditi i bagagli (quante valigie di calzini sporchi verranno fatte brillare al giorno dio solo lo sa), ma dobbiamo veramente iniziare a temere anche gli orsacchiotti?