Non c’è verso che non siate al corrente. In Francia, domenica, si terrà un voto storico, che potrebbe cambiare non soltanto la politica interna del Paese per i prossimi anni, ma anche il suo posizionamento internazionale. Alle elezioni legislative che si terranno domenica 7 luglio, infatti, il Rassemblement National, partito di estrema destra fondato da Jean-Marie Le Pen e saldamente guidato dalla figlia Marine da più di dieci anni, potrebbe non soltanto diventare il partito di maggioranza alla Camera, ma anche ottenere una maggioranza assoluta, il che li porterebbe a governare il Paese per la prima volta. Segue imprecazione nel vostro dialetto preferito.
Ma restiamo fattuali. Per tutti coloro che – vuoi perché non abitano in Francia, vuoi perché ci abitano ma non seguono da vicino la politica perché non hanno la cittadinanza, vuoi perché stavano in ferie su un’isola deserta senza televisione e senza connessione internet – si chiedono ancora “Ma cosa sta succedendo in Francia?” in questo articolo cercheremo di spiegare semplicemente quali sono le cause, le modalità di voto e la posta in gioco di queste elezioni, in quattro semplici domande.
Perché i francesi vanno a votare?
I francesi sono stati chiamati a votare per le elezioni legislative che determinano la composizione dell’Assemblée Nationale (la “camera bassa” del Parlamento). Queste elezioni fanno seguito alla decisione del Presidente della Repubblica Emmanuel Macron di sciogliere l’Assemblée Nationale in seguito ai risultati delle elezioni europee del 9 giugno, quando il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella ha ottenuto un risultato storico, totalizzando 7,7 milioni di voti, ossia il 31,37% dei suffragi espressi (questa percentuale, calcolata sulla base dei voti espressi, non tiene conto né dell’astensione né delle schede bianche e nulle). Renaissance, il partito di Macron, ha – quanto a lui – totalizzato un misero 14,6%.
La sera stessa dei risultati delle Europee, infatti, Emmanuel Macron ha preso la parola per annunciare ai cittadini francesi che di fronte a una tale débâcle avrebbe dissolto l’Assemblée Nationale per “vous redonner le choix de notre avenir parlementaire par le vote.”
In sintesi: si rivota per la camera, e secondo i nuovi rapporti di forza si fa un nuovo governo (espresso dalla maggioranza parlamentare, of course).
Le ragioni di questa scelta chiaramente azzardata sono state ampiamente dibattute nei media e hanno stupito numerosi politici finanche nella maggioranza presidenziale, e non mi lancerò in questa sede in analisi politiche personali (non che non abbia la mia opinione in merito, ma abbiamo detto “restiamo fattuali” solo dieci righe fa). Quello che è certo è che Macron immaginava di poter – di nuovo – raggruppare dietro di sé e dietro il governo di Attal tutti gli elettori spaventati dalla possibilità che l’estrema destra accedesse al potere, per rafforzare la sua maggioranza (che non era che relativa alla Camera, dove governava facendo alleanze a geometrie variabili – variabili fino a un certo punto, perché comunque erano sempre con la destra e perfino con l’estrema destra di cui sopra…) e poter utilizzare questo consenso forzato per legittimare il proprio campo e il governo di Gabriel Attal. Un all-in, insomma.
Solo che ci sono almeno due fattori che Macron non ha considerato: la sua scarsissima popolarità (non so come questo sia possibile, ma è un dato di fatto che non ha ancora capito che la maggioranza dei francesi non lo può vedere nemmeno dipinto) e l’alleanza della sinistra nel Nouveau Front Populaire, che ha rapidamente sorpassato la coalizione di macronisti e alleati Ensemble pour la Republique nelle intenzioni di voto (e poi alle urne durante il primo turno).
Ma come si vota per il Parlamento in Francia?
Questa, che potrebbe sembrare una questione tecnica, da geek dei sistemi elettorali, è invece un punto abbastanza importante da prendere in considerazione. In Francia, le elezioni legislative sono basate su un sistema uninominale maggioritario a due turni. Il paese è diviso in 577 circoscrizioni, ognuna delle quali elegge un deputato. È per questo che, quando i politici vengono intervistati in televisione, spesso vengono presentati con il loro nome, il partito di appartenenza e il dipartimento di riferimento, come ad esempio “François Ruffin, deputato LFI (partito) della Somme” (dipartimento – poi ovviamente ogni dipartimento è suddiviso in più circoscrizioni in base alla popolazione). L’idea alla base di questo sistema è che ogni deputato rappresenti un territorio specifico, per garantire un forte radicamento locale. Pertanto, le legislative in Francia sono spesso “presentate” nei media come 577 mini-elezioni presidenziali.
In che senso? In pratica, in ogni circoscrizione, ogni partito presenta un candidato. Ad esempio, nella circoscrizione X, l’estrema destra presenta il signor Nero, la destra il signor Blu, i macronisti il signor Bianco e la sinistra il signor Rosso. Se uno di questi candidati ottiene più del 50% dei voti al primo turno, vince automaticamente. Altrimenti, tutti i candidati che superano il 12,5% dei voti passano al ballottaggio, dove è sufficiente una maggioranza semplice per vincere: si assiste allora a un duello ‘classico’ o a una ‘triangolare’ (teoricamente è possibile anche una quadrangolare, ma sono casi più unici che rari, perché vorrebbe dire che 4 candidati si sono divisi equamente e senza scarti i voti della propria circoscrizione).
Questo spiega perché non tutte le circoscrizioni tornano al voto per il secondo turno: un certo numero di deputati, infatti, sono già eletti dopo il primo turno. Se poi al ballottaggio si trovano più di due candidati, uno di loro può decidere di ritirarsi e indirizzare i propri elettori verso un altro candidato. Di solito questo avviene per contrastare un avversario considerato “pericoloso” come – appunto – l’estrema destra. Ad esempio, se il signor Rosso è terzo dietro al signor Nero e al signor Bianco, può ritirarsi e chiedere ai suoi sostenitori di votare per il signor Bianco per battere il signor Nero.
Ma al primo turno l’estrema destra ha stravinto, giusto?
Sì e no. Diciamo che è un po’ come arrivare a metà tappa del Giro d’Italia e chiedere “ma quello davanti sta vincendo?”… Insomma, è un po’ più complicato di così! I risultati del primo turno, su cui tutti si sono lanciati per parlare del trionfo dell’estrema destra contano… e non contano. Cioè, è vero che su base nazionale, in percentuale, un suffragio espresso su tre va al Rassemblement National (tenendo conto di astensione e schede bianche e nulle si parla di un francese su cinque che ha votato RN), per cui non è proprio più possibile minimizzare un simile risultato. Però fare delle proiezioni poi sull’arco parlamentare non è così evidente perché – ancora una volta – il voto in Francia non è proporzionale. Quello che conta sono gli scontri diretti e dove finiscono i voti dei candidati che si ritirano. E in politica, come nel tennis, i risultati di un test a testa sono difficili da predire in anticipo, soprattutto tenendo conto delle rinunce di una parte dei candidati impegnati nelle triangolari (il famoso signor Rosso che si ritira e dice ai suoi elettori “per quanto non vi piaccia il signor Bianco, votate lui per impedire al signor Nero di vincere”).
Subito dopo i risultati del primo turno, infatti, dal Nouveau Front Populaire hanno fatto sapere che laddove un loro candidato si fosse trovato in terza posizione dietro un duello tra RN e chiunque altro si sarebbe ritirato. E così hanno fatto, praticamente in tutte le circoscrizioni in cui il caso si presentava. L’idea ovviamente è fare sbarramento ai candidati RN, anche rinunciando a battersi per un seggio, anche lasciando il proprio posto a un macronista o a un candidato della destra detta repubblicana (quel che resta dei Républicains…). Perché si parte dal presupposto che con i macronisti e la destra ci possano essere dei disaccordi di contenuto, mentre con RN non si condivida neppure il tavolo da gioco (il gioco della democrazia, non sempre divertentissimo ma per adesso non hanno trovato di meglio…) La reciproca è stata un po’ meno vera, nel senso che ci sono stati molti più tentennamenti da parte del partito del Presidente e della destra nell’accettare di ritirarsi laddove si trovassero in terza posizione dietro un duello tra estrema destra e sinistra, ma alla fine il principio ha funzionato non troppo male. E così ci troviamo al secondo turno, che si svolgerà, giustamente, domenica.
E dopo il secondo turno che succede?
Il nuovo Parlamento dovrà esprimere un governo, secondo la maggioranza che deriverà da questo secondo turno di elezioni. Ovviamente se io sapessi cosa succederà il 7 luglio piuttosto che scrivere questo articolo avrei giocato al Lotto, ma diciamo che gli scenari che sembrano i più probabili sono quattro:
– una maggioranza assoluta per RN, il che significherebbe, semplicemente, un governo RN, in quella che si chiama “coabitazione” tra un Presidente della Repubblica e un Primo Ministro di due partiti diversi. Ovviamente si tratta del peggior scenario politico, quello contro il quale è stata messa in atto la tattica dello sbarramento.
– una maggioranza relativa di RN. A quel punto il futuro è incerto, perché il partito di Le Pen sarebbe in diritto di esprimere un nome per il Primo Ministro… Ma non avrebbe i numeri per governare (ritengo abbastanza improbabile che riuscirebbero a trovare dei voti d’appoggio)… e la camera non può venir sciolta per un anno dopo le elezioni, neppure con un voto di sfiducia. Probabilmente il Parlamento funzionerebbe per l’ordinaria amministrazione, ma senza riforme di peso.
– una maggioranza relativa del NFP (quella assoluta è in pratica matematicamente impossibile), che a quel punto dovrebbe trovare un nome non troppo “scomodo” per poter godere di un appoggio esterno, per esempio tra i deputati macronisti. Anche in questo caso, il rischio è che si vivacchi, senza che il governo possa fare delle grosse riforme.
– Se proprio proprio non ce la fanno… Governo tecnico. A differenza dell’Italia, in cui il governo tecnico è una specialità della casa, in Francia un governo di questo tipo non c’è mai stato… Ma, come si suol dire, c’è sempre una prima volta!
Un’ultima ipotesi ventilata è quella della große Koalition che vada dai Repubblicani alla sinistra… ma appare molto improbabile, principalmente perché (comprensibilmente) nessuno la vuole fare.
Non resta che aspettare il 7 luglio.
Per quanto ci riguarda, lo faremo col fiato sospeso, mentre in testa continua a tornarci un articolo scritto da Arrigo Benedetti il 7 febbraio del 1960 sull’Espresso, intitolato “la seconda volta”, in cui lo storico fondatore della rivista scriveva, a proposito della svolta autoritaria della Francia impegnata nella guerra d’Algeria: “Per la Francia abbiamo già pianto una volta, quando abbiamo visto le truppe tedesche marciare su Parigi. Non è possibile farlo di nuovo.” Speriamo davvero che non ce ne sia bisogno.