Nel Basso Medioevo l’usura veniva considerata peccato mortale dalla Chiesa di Roma, tanto che la sua pratica era vietata a tutti i cristiani. Al di là del dibattito (ancora aperto tra gli storici) sul ruolo dell’usura nello sviluppo economico dei secoli seguenti e dell’atteggiamento pratico della Chiesa nei confronti del fenomeno, quello che è interessante è uno degli argomenti più comuni usati per giustificare questo divieto: l’usuraio, essenzialmente, lucra sul tempo che passa. Ma il tempo è una creazione che Dio ha concesso a tutti gli uomini (un bene indisponibile diremmo noi), e nessuno può commerciarlo. Il commercio del tempo, scrive Bonaventura è una “deformazione dell’ordine delle cose”.
Oggigiorno il commercio del tempo non è più appannaggio dell’usura: il sistema finanziario mondiale sussiste grazie alla compravendita di prodotti derivati che altro non sono che rischiosissime scommesse sul futuro. Il documentario di Philippe Borrel, L’urgence de ralentir, realizzato per il canale franco-tedesco arte inizia con una presa di coscienza di quanto la “compressione del tempo” messa in atta dalla finanza abbia generato uno iato irresolubile tra il tempo dell’economia e il tempo dell’uomo. Tutto corre sempre più veloce, sempre più veloce, perché il tempo è denaro.
Questa massima ci ha portato a sposare un sistema, come chiarisce il documentario di Borrel, che può progredire soltanto grazie ad una continua accelerazione. Accelerare il ciclo di produzione, accelerare la consumazione, accelerare i tempi dei mercati finanziari… In questa infinita corsa contro il tempo l’uomo si scopre (ancora una volta) antiquato, secondo la definizione coniata da Günther Anders.
L’urgence de ralentir inizia, quindi, con la considerazione di questo status quo, per poi partire alla scoperta di tutti coloro che, ai quattro angoli del pianeta, rifiutano di sottomettersi al ritmo incalzante di questa “Corsa suicida ed incoscente”. Il film propone allo spettatore un mosaico di iniziative locali diversissime tra di loro ma nate dalla stessa comune volontà di resistere al rullo compressore del sistema finanziario mondiale: dall’India alla Francia, dagli Stati Uniti all’America del Sud, ogni iniziativa è come una tessera che assieme a tutte le altre disegna un mondo alternativo a quello imposto dal sistema dominante, più sostenibile, più adeguato alle reali necessità dell’uomo.
In Francia la città di Romans-sur-Isère ha scelto di creare una moneta locale, completamente compatibile con l’euro, ma che è accettata unicamente dai produttori locali e dai commercianti del paese, con l’obiettivo di re-localizzare l’economia. A Ithaca, negli Stati Uniti, le cooperative cercano di svolgere la stessa funzione, promuovendo i produttori locali, i prodotti biologici o a minor impatto ambientale, e fungendo, al tempo stesso, da luogo di aggregazione per gli aderenti. Nel Rajasthan, il Barefoot College, ospita donne proveniente dalle zone rurali dei paesi in via di sviluppo per insegnare loro a costruire pannelli fotovoltaici con i materiali che possono trovare ovunque.
Durante tutto il documentario si susseguono le interviste ai protagonisti di questa resistenza silenziosa all’economia mainstream.
Queste resistenze avrei dovuto dire. Perché quello che emerge dal reportage di Borrel è l’estrema varietà di forme che la ricerca di un’alternativa ha creato. In modo completamente indipendente gli uni dagli altri migliaia di individui in ogni parte del mondo hanno cercato di dare risposte diverse all’urgence de ralentir, talvolta trovando soluzioni simili, talvolta completamente diverse. E questa varietà è affascinante: il libro Constellations, uscito qualche mese fa, cerca di tracciare una mappa di tutti quei movimenti che in questo inizio di secolo hanno preso parola e si sono mossi per cercare di creare un’alternativa al sistema costituito, spesso ben prima che la crisi del 2008 rendesse palese, anche per tutti coloro che ancora non se ne erano accorti, che questo sistema non solo non funziona, ma non può funzionare.
Quante volte ci siamo sentiti isolati, soli con il nostro desiderio di engagement? Il documentario di Borrel, diffuso su arte e recentemente proiettato al Festival international du film d’environnement porta un messaggio di ottimismo e di speranza: le persone che sognano un sistema diverso e si impegnano per crearlo sono più di quante crediamo, e sono ovunque.