“Une tradition et deux croissants s’il vous plaît !
Y’a une offre, trois croissants à deux euros, ça vous tente ?
Bon, ok, faisons trois”
Ok, fino a qui niente di strano, siamo d’accordo. Quello che però potrebbe presto cambiare, se abitate a Parigi, è che a questo punto potreste chiedere alla boulangère “vous acceptez la monnaie locale, n’est-ce-pas?” per poi scambiarvi dei biglietti che euro non sono, ma con cui si può pagare lo stesso.
Avete indovinato: presto Parigi potrebbe avere la sua moneta locale, come già Lione, Brest, Rennes e molte altre città e dipartimenti in Francia. Per saperne di più abbiamo intervistato Lucas Rochette-Berlon, presidente dell’associazione Une monnaie pour Paris e Théophile Robineau, portavoce della stessa. La prima cosa che salta agli occhi, non appena iniziamo a parlare, al tavolino di un bar, è l’entusiasmo che li anima; la seconda è la loro determinazione.
Lucas viene da Marsiglia, dove ha iniziato a militare in diverse associazioni politiche ed ecologiche fin da giovanissimo: “a un certo punto, però, mi sono detto che anche se sono importanti tutte le proiezioni a lungo termine per le quali ci battiamo, raramente facciamo qualcosa che abbia un impatto diretto e concreto sul quotidiano delle persone. Ecco da dove è nata l’idea di una moneta locale. Una moneta locale tocca contemporaneamente più aspetti della società: l’economia, certo, ma anche l’ecologia, l’assetto sociale e democratico di una comunità.” “Lucas – aggiunge Théophile –ha iniziato a parlarmi del suo progetto intorno a un caffé, poi ad un altro… Non ci è voluto molto a convincermi, perché per me l’impatto ecologico di una moneta locale è inestimabile. Tutti i progetti di transizione ecologica di cui avevo letto sembravano pensati per delle regioni rurali. Ma per me il nervo della guerra rimane l’economia delle grandi città.”
Sottrarre l’economia locale alla morsa della speculazione finanziaria, rilocalizzarla, rilanciarla, generare ricchezza che rimane sul territorio: gli obiettivi del progetto Une monnaie pour Paris sono ambiziosi.
Ma in pratica come funziona?
Una moneta locale complementare è uno strumento che si affianca alla valuta riconosciuta dallo Stato e che permette di effettuare scambi di tipo commerciale. Per metterla in circolazione la tesoreria deve avere un fondo di riserva di valore pari alla valuta locale in circolazione sul territorio: cento mila unità di moneta locale in circolazione = cento mila euro in tesoreria. Ed ecco la prima grossa differenza con le banche private: “la stragrande maggioranza del denaro in circolazione – mi spiega Théophile – non esiste. Si tratta semplicemente di una serie di uno e zero scritti su un computer.”
“Secondo i nostri criteri – continua Lucas – noi saremo tenuti ad avere in riserva in euro il 100% della moneta in circolazione. Le banche private, invece, sono tenute ad avere in riserva il 2% del denaro “emesso” in circolazione.”
Dal che è evidente – perfino per me che ho fatto lettere e filosofia e l’economia l’ho studiata sui fumetti di Paperino – che il 98% del denaro che una banca vi dice di avere è virtuale. Ecco perché quando – crisi di fiducia oblige – tutti i risparmiatori si precipitano in banca a reclamare i propri soldi quest’ultime chiudono il bandone.
Inoltre, nel caso di una moneta locale “I fondi depositati non possono essere investiti se non in progetti locali: questo permette di raddoppiare la moneta in circolazione. Da un lato la moneta locale che, in mano ai commercianti ed ai privati permette gli scambi; dall’altra il fondo di tesoreria che permette gli investimenti, ma entrambi sono bloccati sul territorio e sottratti alla speculazione.”
Una moneta locale si basa su un accordo volontario, e questo permette di creare delle regole per decidere chi, tra commercianti e imprese, ha il diritto di farne richiesta – ed è qui che entra in ballo l’aspetto più interessante della questione. “Nonostante ancora non sia stato deciso niente ufficialmente – precisa Lucas – perché aspettiamo di ascoltare l’opinione di cittadini e commercianti; probabilmente ci saranno alcuni criteri sui quali non si può negoziare, come vendere armi o OGM che escludono automaticamente dalla possibilità di beneficiare della moneta locale.” E al di là di questi? “Vista la complessità della realtà parigina – spega Théophile – pensiamo di proporre una lista di criteri: ogni azienda o commercio che vuole entrare a far parte della moneta locale dovrà rispettarne almeno un tot.”
In concreto i criteri saranno di ordine ecologico (prodotti bio, a kilometro zero, senza OGM; uso di fonti energetiche rinnovabili; raccolta differenziata), ma anche sociale ed economica (ad esempio avvantaggiando le imprese che hanno un’assetto economico di tipo cooperativo, o che assumono a tempo indeterminato una certa percentuale di impiegati). Un’altra delle proposte – ancora da approvarsi – è quella di spezzare il processo in più tappe intermedie: i primi due anni, per esempio, alle aziende è concesso di accedere alla moneta locale con cinque criteri su dieci, sapendo che per rinnovare la licenza dopo due anni sarà richiesto di rispettarne sei (sempre a titolo d’esempio).
“Il che – conclude Lucas – ci permettererà di accompagnare nella transizione ecologica delle imprese motivate ma che hanno ancora dei traguardi da raggiungere, piuttosto che labellizzare le poche, spesso militanti, che rispettano fin da adesso tutti i criteri.”
Se il tema vi interessa potete leggere la nostra intervista completa (in francese)!