Parigi: odi et amo, o piuttosto amo et odi… Incantevole e infernale, non si finisce mai di scoprirla e noi non la finiamo di chiederci: sposarla o abbandonarla? Emblema di questo tourbillon, l’universo (infinito) delle expo d’arte contemporanea. Ma, lontano dal chiacchericcio dei social e delle riviste patinate, ci sono quelle expo che si accendono comme lucciole, effimere apparizioni all’ombra degli eventi mondani. E quando si spengono, qualcosa in noi è cambiato. In queste costellazioni «minori», grandi sono le stelle dello stupore e della libertà. Questa è la Parigi che continua a illuminarci.
Costanza Tabacco: Buongiorno Isa Sator. Può presentarci la sua ultima esposizione «Les Grandes Cocottes»?
Isa Sator: L’Orangerie del Senato è un bella cornice ma anche un luogo di concentrazione del potere. Mi è venuta l’idea di rimettere le donne al centro di questo paesaggio: una sorta di occhiolino malizioso che mi sembrava divertente! Tra l’altro, la mia tavolozza si sposa perfettamente alle piume, ai colori, agli sfarzi! Il fenomeno parigino delle «cocottes» si è diffuso tra il 1840 e il 1870 ed è durato fino alla Seconda Guerra Mondiale. Ho dipinto le cosiddette «grandi orizzontali», e poi le coppie mitiche e le scene di vita quotidiana … ma non c’è niente di ordinario dato che le «cocottes» si svegliavano alle quattro del pomeriggio! Però non si deve dimenticare la povertà: eccezion fatta per le più ricche, dietro i gioielli ed i lussi c’erano l’indigenza fisica ed emotiva. Ho voluto mettere gli «anni folli» al cuore di un’istituzione che dorme, fatta di signoroni seduti in poltrona… Lo sa che ci sono tre taglie di poltrone al Senato?
CT: Nel ciclo, ci sono anche i ritratti di Matha Hari (ballerina), Sarah Bernhardt (attrice) e più versioni de «L’origine del mondo» di G. Courbet. La prospettiva storica lascia spazio ad una riflessione più universale sulla «cocotte»…
IS: Con Napoleone, le donne avevano perso ogni diritto. Se non volevano stare alla mercé di un uomo e non avevano il denaro per sopravvivere, e se non riuscivano neanche nella carriera teatrale, le donne si prendevano degli amanti ricchi per fare soldi – che dilapidavano velocemente tra l’altro! Per farlo, avevano solo charme e la bellezza. Per me, dunque, la « cocotte » è una donna intelligente che usa i suoi attributi femminili per conquistare delle libertà che le sono negate. Attraverso la prostituzione, la « cocotte » la propria realizzazione. In un certo senso, le « cocottes » erano delle artiste, perché si battevano per essere libere e per il proprio benessere…
CT: Perché avete inserito anche «L’origine del mondo», dietro un sipario di velluto rosso ?
IS: All’epoca, gli artisti dipingevano les «cocottes»: era un periodo folle, chissà cosa succedeva negli ateliers! Si dice che per realizzare «L’origine del mondo» Courbet abbia utilizzato tre modelle, tra le quali la famosa «cocotte» Apollonie Sabatier, che io avevo già ritratto perché mi mancava una donna dai capelli rossi per la galleria dei ritratti. Volevo, infatti, che tutti i tipi di donne fossero rappresentati. Per quanto riguarda il siparietto dietro il quale ho messo il dipinto, questa scelta dipende dalla storia vera del dipinto. In origine, il committente, un turco di fede islamica, lo aveva tenuto nascosto sotto una stoffa verde. Poi l’opera è stata acquista dallo psicanalista Jacques Lacan che lo ha tenuto dietro una stoffa di velluto roso.
CT: Fin dalle vostre prime tele (Nouméa) passando attraverso i cicli Marie Antoinette, Thai Blondes, Les Indiennes, la presenza della donna è centrale, ma le epoche ed i ruoli cambiano profondamente . Qual’è il leitmotiv?
IS: L’energia originaria delle donne: il loro ruolo per l’evoluzione umana è fondamentale. La donna è il solstizio dell’umanità. Per questo motivo, sono sfruttate, messe a tacere, emarginate. Qualunque sia l’epoca o il luogo, mi sembra che le donne siano più sagge…
CT: Nelle vostre «cocottes» si percepisce un contrasto fra lo sguardo e il corpo. L’esuberanza e la leggerezza si accompagnano a emozioni opposte: malizia, rabbia, tristezza…
IS: Gli occhi sono molto presenti nei ritratti, è vero. A volte sono infuriati, ma gli occhi sono interrogatori per lo più. Credo in effetti che la verità stia negli ossimori: una cosa fredda fuori, è calda dentro. Perciò si deve andare oltre l’apparenza. Per tale motivo, gli occhi interrogano. In questo senso, certo, è la mente dell’uomo che è interessante da osservare, ma a me sembra che le donne siano … via, lo dico, in generale più sensibili a quest’esperienza!
CT: Il giorno della conclusione della mostra « Les Grandes Cocottes », Lei era truccata e vestita in modo eccentrico. Lo fa spesso e invita i visitatori a imitarla. Perché Lei si traveste?
IS: (ride) È una performance nella performance! Per me una mostra è come un matrimonio: mi sposo con le mie opere e ricevo gli invitati alla cerimonia. E’ una festa e voglio che sia piena di vita. Come ne La rosa purpurea del Cairo, entro e esco dai miei quadri e invito tutti a fare lo stesso.
CT: Ho l’impressione che i vostri quadri Le assomiglino. È così?
IS: Sono i miei bambini. In effetti, io non ho figli e i miei quadri ne prendono il posto…
CT: In generale, qual’è il ruolo del corpo dell’artista nel processo di creazione?
IS: Parto dal principio che è la mia mente a guidare il mio corpo. Oggi, in molti fanno questa confusione: è il corpo a condurli, invece è la mente che deve orientare il corpo…e tutto il resto. Nel mio caso, durante il processo di creazione la mia mente e le mie scelte sono prioritarie: so quello che voglio e non lascio che niente interferisca. La mente deve guidare, soprattutto le intenzioni. Ma perché ciò sia possibile, ci vuole equilibrio; bisogna esserne consapevoli.
CT: La Sua biografia racconta di un’avvocato diventata artista. Tra i due momenti, un lungo soggiorno in Nuova Caledonia. In che modo l’ispirazione ha avuto il sopravvento?
IS: Quando ero piccola sapevo in modo confuso che ero particolare. A casa, per esempio, organizzavo delle discussioni coi miei pupazzi! Da grande, ho intrapreso gli studi di diritto e ho cominciato a lavorare come avvocato, ma non ero felice. A chi avrei potuto dirlo Poi sono partita per la Nuova Caledonia per allontanarmi dall’inferno parigino. Appena salita in aereo, sapevo che avevo appuntamento con me stessa; una volta laggiù, è stato molto duro innanzitutto perché nei territori francesi d’Oltremare il diritto non esiste! È in quel periodo che ho deciso di diventare pittrice. Solo dipingendo si evitano compromessi. Ma questo, a prezzo di essere estremamente attenti all’etica, integri. Ciò non vuol dire che bisogna trattare solo argomenti oscuri e drammatici. Per me, è esattamente il contrario: quando siete potenti, niente vi angoscia. Quindi, per rispondere chiaramente alla Sua domanda: l’ispirazione è arrivata nelle difficoltà.
CT: Quali sono gli artisti che la inspirano di più?
IS: Per contrasto, Caravaggio: lo trovo fantastico ma… che vita terribile ha avuto! Adoro anche la donna dell’epoca, Artemisia Gentileschi. La sua storia è stata una corsa per scappare agli esattori, una fuga tra Roma e Napoli…e ciò mi commuove. Dipingeva come i grandi maestri, ma con femminilità. Anche Matisse e Monet m’ispirano molto: le loro opere, da sole, riempiono gli spazi. Questa è la pittura, per me! Ho amato Basquiat, ma il suo universo è troppo oscuro. A me interessa al contrario spingere le persone verso l’alto. La società deve sapere il mondo meraviglioso esiste . Gli artisti servono a questo…
CT: Il Suo pseudonimo viene dal «quadrato Sator», uno schema magico che contiene il palindromo SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. Che significa per Lei?
IS: Il soggetto della frase è appunto il «Sator», colui che ha le chiavi dell’universo. Non si tratta di un individuo in particolare, ma di ognuno di noi. Bisogna iniziare le persone a questa verità affinché non abbiano più paura. Vorrei dare vita a delle opere che emettono delle onde che vengono direttamente dalla mia mente. Quello che contraddistingue i miei quadri è che essi vi accompagnano in questo percorso, sono come un filtro attraverso cui passano le vibrazioni…
CT: Nel 2015, durante la mostra «ADN Sator» presso la Galerie JPHT di Parigi, Lei ha parlato della «satorizzazione», un’esperienza che sarebbe offerta ai visitatori…
IS: Lasci che La rassicuri: la « satorizzazione » fa bene, spinge verso l’alto! Ognuno di noi ne fa esperienza, ma non ci siamo abituati. È come quando incontriamo qualcuno e ci sentiamo bene: da una mente all’altra, si trasmette una sensazione di empatia, di fusione, avviene uno scambio senza che ne si abbia automaticamente coscienza. La pittura aiuta a prenderne coscienza. Vorrei stimolare le persone a riflettere sul fatto che sono qualcosa più di un insieme di carne e ossa. È necessario incoraggiare le persone a avere fiducia nella propria mente. Gli artisti servono a questo. Come vede, si tratta di temi estremamente seri, ma che possono essere dipinti in modo colorato e divertente.
CT: Sul suo sito, un video la mostra all’opera sul dipinto Les baigneuses. A un certo momento, Lei dice: «Le amiche si trovano in un luogo dove sono autorizzate a essere nude». Lasciandoci portare dal suono delle parole, tra la «satorizzazione» e l’ «autorizzazione» troviamo l’esperienza dell’ «autorizzars » . Cosa Le evoca questa costellazione di parole?
IS: Lo scopo della pittura è di rassicurare le persone sul fatto che ci sono molti mondi, da dove veniamo e verso i quali andremo. Si tratta di mondi paralleli?, forse. Sono mondi abitati?, certo. Esistono ed esisteranno e ne facciamo parte. La nostra mente è eterna e immortale. Il « Sator » è ogni essere umano capace di autorizzarsi a fare ciò che vuole fare. Ognuno dovrebbe fare tutto quello che ha voglia di fare, sempre che abbia un’etica. Per me gli artisti esistono per accompagnare in questo cammino. Si emette/si riceve…siamo immersi nelle emissioni e ricezioni e la pittura emette delle onde: durante la « satorizzazione », le emissioni consistono in nuove maniere di pensare e di vedere…
CT: Lei si definisce colorista. Perché? Quali tecniche utilizza?
IS: Ho il cerchio cromatico in testa, per me colorare è un atto istintivo. Quando lavoro, è come se il colore si mettesse da solo. Se ci penso, sbaglio. Non si deve pensare – ride – bisogna lasciarsi andare… A livello della tecnica, mi piace dare il colore direttamente dalla bottiglia: mi piace molto perché se tentenni è la fine, non si deve tentennare. Bisogna andare. Dipingere è un gesto artistico in sé, direttamente in contatto con la mente che ha delle cose da dirvi…
CT: A proposito del significato dei colori, Lei ha parlato dello «splendore» (in francese: «fulgurance»): può dirci qualcosa di più?
IS: Si, ho parlato del giallo come colore dello «splendore»: è come quando le cose accadono sotto ai nostri occhi, si fanno in un attimo… Quest’esperienza avviene quando lasciate perdere tutto, ve ne infischiate di tutto quello che sapete. Avete fiducia in ciò che fate e ci andate fino in fondo perché quello che farete andrà bene. Questo succede perché il nostro cervello è legato al cosmos: intorno a noi, il mondo è pieno di cose anche se non le vediamo. Credo che la specie umana si stia evolvendo in questo senso e che un giorno basterà guardarci negli occhi per capirci. Io per esempio, quando vedo qualcuno, so a cosa pensa. Ma come posso dirlo? Attraverso la pittura, condivido con gli altri quest’esperienza, ma non c’è alcun bisogno di rappresentare temi tristi. Al contrario, ci si deve liberare dalle catene dell’angoscia e della paura…
CT: Quali progetti Ha per quest’inverno?
IS: La mitica brasserie Le Séléct sul boulevard Montparnasse – « istituzione » per gli artisti del secolo scorso – mi ha commissionato una mostra di tele di piccolo formato per il mese di dicembre…
CT: Complimenti!
IS: La ringrazio; in ogni modo, là dove andrò, ci saranno solo buone notizie…