Ci hanno avvisato da un po’: “sarà una rentrée difficile”, “l’inverno si preannuncia preoccupante” … Insomma, tra l’aumento dell’inflazione, la crisi energetica e tutto quello che ne deriva (il calo del potere d’acquisto, la recessione…) c’è poco da stare allegri.
In piena estate Emmanuel Macron ha annunciato un piano per ridurre i consumi energetici del 10% nei prossimi due anni, attraverso delle azioni individuali e collettive, nonché attraverso un’accelerazione del passaggio alle rinnovabili e – soprattutto, va detto – il rilancio della filiera nucleare francese. Anche la prima ministra, Élisabeth Borne, ha recentemente fatto appello a tutti i cittadini per ridurre i consumi d’energia. Ci hanno chiesto di spegnere la wi-fi quando usciamo di casa e di staccare le spine, mentre (paese che vai, usanza che trovi) in Italia si dibatte sulla possibilità di cuocere le paste nell’acqua fredda.
Tempi di vacche magre, insomma. Tempi di austerity, anzi: di sobrietà.
“E finalmente!” mi verrebbe da dire. Perché – siamo sinceri, ormai era chiaro anche per i più radicali tra gli scettici del riscaldamento globale che il nostro modello economico e sociale non è più sostenibile e che siamo al limite del tracollo ecologico.
Certo, le motivazioni che spingono il governo a caldeggiare la sobrietà non sono – almeno non principalmente – d’ordine ecologico, ma economico e geopolitico. Certo, la questione principale, che questo piano non sembra abbordare in maniera profonda, non è tanto la riduzione individuale dei consumi, quanto una rivoluzione sistemica del nostro modo di produzione e di consumo.
Ma finalmente, se non altro, la locuzione “sobrietà energetica” è stata sdoganata e possiamo sentirla anche pronunciare da politici e giornalisti delle testate più conservatrici e delle reti più mainstream: sembrano passati secoli da quando Macron tacciava di “modello amish” quegli ecologisti che si erano schierati contro l’implementazione della 5G.
Almeno a parole, la sobrietà energetica ha preso dei gradi. Resta da vedere come queste parole si tradurranno in fatti e misure concrete: il comune di Parigi dovrebbe presentare nei prossimi giorni il proprio piano per la sobrietà energetica e l’accelerazione della transizione ecologica. In programma: rinnovare gli immobili più vecchi per migliorarne l’isolazione termica e aumentare in modo esponenziale il ricorso alle energie rinnovabili, con l’obiettivo di rendere la Ville Lumière carbon neutral (a impatto climatico zero) nel 2050.
Tutte iniziative lodevoli, ma che – ancora una volta – tendono più a trovare soluzioni “green” per continuare a puntellare il nostro sistema economico e sociale piuttosto che a cambiare paradigma, e uscire dall’epoca della sovrapproduzione e del consumismo. Che invece è – secondo chi scrive – la questione chiave del problema.
Ci vuole una rivoluzione sistemica: dell’economia, della società, della mentalità. Quello che dicevamo qualche settimana fa riguardo ai viaggi mordi e fuggi vale anche per la carne a tutti i pasti, per l’usa e getta, per la fast fashion: tutte abitudini che non solo hanno un impatto ecologico negativo, ma anche un impatto sociale devastante.
Insomma: abbiamo troppe cose (mia madre direbbe “troppe cose che poi prendono la polvere”). Individualmente e in quanto società. Per fabbricare queste cose ci vuole un sacco di energia. Per smaltire queste cose ci vuole un sacco di energia. E in entrambi i casi, oltre all’energia ci vogliono un sacco di materie prime che – what a surprise! – non sono disponibili in quantità infinita su questo pianeta.
Nel 1972, 50 anni fa esatti, il Rapporto Meadows del MIT (Massachusetts Institute of Technology), allertava sull’impossibilità di una crescita infinita in un mondo dalle risorse finite. Secondo la stima fatta dagli studiosi del MIT, a cui il Club di Roma aveva chiesto di redigere questo rapporto, stando le “tendenze attuali di crescita della popolazione mondiale, di produzione alimentare e di sfruttamento delle risorse attuali” i limiti della crescita sarebbero stati raggiuti in un secolo.
Qual è lo stato delle cose cinquant’anni più tardi? Se lo chiede la giornalista scientifica Audrey Boehly nel suo podcast Dernières Limites (edito da Saga Sound e disponibile su tutte le piattaforme podcast) e per rispondere analizza in ogni episodio un aspetto specifico dell’ecosistema terra e dell’impatto delle attività umane sul pianeta. I suoli, l’acqua, le materie minerarie, l’energia generata dai carbonfossili, la biodiversità… In ogni puntata fa il punto su uno di questi aspetti con uno specialista del settore per capire fino a dove ci siamo spinti… E se esistono delle soluzioni che, applicate, potrebbero invertire la tendenza.
Spoiler alert: queste soluzioni esistono eccome e passano tutte da un cambiamento di paradigma delle nostre società.
La crisi energetica che ci troviamo a fronteggiare potrebbe veramente trasformarsi nell’opportunità di creare un modo diverso di stare al mondo, più rispettoso della natura certo, ma anche più solidale (tutti gli esperti sono unanimi nel dire che non si può agire a lungo termine sul clima senza andare a ridurre le diseguaglianze sociali), più umano e… e che cazzo, anche più bello!
Si suole dire che in cinese (ma forse è il giapponese) la parola crisi contiene in sé i concetti di pericolo e di opportunità. Io non lo so se è vero perché nelle lingue straniere sono una pippa, però, in questo caso preciso, la metafora mi sembra calzante. La crisi esiste, ormai è davanti agli occhi di tutti ed è chiaramente tangibile (basta guardare la bolletta o il prezzo di qualunque bene di consumo…) ed è qui per restare. Le soluzioni sono due: subirla e farsi travolgere dagli eventi che ne seguiranno oppure cogliere l’occasione per andare verso un cambiamento che ormai è necessario in modo organizzato e razionale.
Ovviamente con questo non si vuole dire che cambiare i nostri comportamenti individuale sia ininfluente, anzi… settembre è il mese dei buoni propositi per eccellenza: ben venga se tra i buoni propositi ne abbiamo alcuni che migliorano il nostro impatto ambientale (come acquistare senza imballaggi, passare al bio o ridurre la propria consumazione di carne)!
Semplicemente, forse, potremmo provare a pensare a questa crisi come l’ultima chiamata per prendere il treno del cambiamento. E, forse, potremmo cercare – sempre in quanto società – di non perderlo anche stavolta.