Italiani che fanno cose – Enrico Fridlevski

Italiani che fanno cose è una nuova rubrica di Parigi Grossomodo, nella quale vi facciamo incontrare delle e degli italiani in Francia attraverso il loro percorso. Artisti, imprenditori, chef, scrittori… con ognuno di loro approfondiremo l’itinerario che li ha portati in Francia e il loro rapporto col loro nuovo paese di residenza, attraverso un’intervista senza filtri, nella quale prendiamo il tempo di conoscerli veramente. Perché siamo convinte che, se si prende il tempo di approfondire, qualunque argomento è interessante e ognuno di noi ha qualcosa da insegnare!

Italiani che fanno cose è una rubrica per conoscerli e conoscerci, noi, italiani in Francia, al di là dei cliché e delle statistiche, al di là dei diversi percorsi che ci hanno portati qui.

Enrico Fridlevski è un autore e cantante italiano residente a Parigi. L’abbiamo incontrato un pomeriggio di primavera in cui ci ha raccontato la sua evoluzione personale e artistica, la sua erranza geografica e la sua ricerca musicale da Pontedera a Parigi, passando da Roma e da Ginevra. Ci ha parlato della sua formazione da cantante di lirica, dei suoi esordi in ambito dance nei primi anni 2000 e degli album come frontman dei Vick Frida e della sua passione per l’insegnamento del canto, che lo ha portato ad aprire la propria scuola, nella quale sono già passati almeno 200 studenti del 2018. Ma soprattutto… Ci ha parlato di musica!

PG: Ciao Enrico, iniziamo come da copione, chiedendoti di presentarti!

E: Ciao Parigi Grossomodo! Mi chiamo Enrico Fridlevski, ho 44 anni, sono nato a Pisa e cresciuto a Pontedera… e dal 2018 vivo a Parigi, dove ho aperto una scuola di canto che si chiama “Ta voix!” Ho fatto il calcolo qualche giorno fa e mi sono reso conto di aver già accolto circa 200 studenti in questa scuola… Dai mille profili differenti! Da quando sono a Parigi ho anche iniziato un’attività discografica indipendente: ho scritto, composto e prodotto diversi brani, in maniera autonoma, senza etichetta discografica ad eccezione di La Rosa e La Sposa 2018, prodotta con Ferdinando Arnò, già produttore di Malika Ayane e Raphael Gualazzi tra gli altri.

PG: L’insegnamento non ti ha quindi fatto abbandonare il tuo amore per la composizione e l’interpretazione, quindi. Ti va di raccontarci un po’ la tua carriera musicale?

E: Dunque, se vogliamo andare per ordine posso cominciare col dire che mi sono diplomato in canto lirico a La Spezia e ho fatto un biennio accademico in management musicale a Roma. Diciamo che la prima parte della mia attività discografica si è svolta tra i miei 20 e i miei 30 anni, in cui – con i Vick Frida – abbiamo pubblicato due album e diversi singoli. I nostri primi singoli sono usciti nel 2000 e nel 2001: erano brani di musica elettronica, pensati per ballare, e il contrasto con i miei studi di canto lirico era flagrante! Il giorno mi travestivo da “persona per bene” per andare in conservatorio – il luogo dove, giustappunto, si conserva la tradizione- e la sera andavamo di discoteca in discoteca a presentare i nostri brani. Per farti un esempio: abbiamo presentato i dischi al Tenax! [ndr storico locale di Firenze].

©Vick Frida

I primi singoli erano molto piaciuti a una radio fiorentina, RDF, che decise di supportarci, passando i nostri pezzi. Nel 2008 uscì il primo disco dei Vick Frida, intitolato Cine_pop e prodotto da Diego Calvetti, un produttore di Firenze che poi ha prodotto molti altri artisti di successo. Uno dei primi singoli estratti dall’album, Ti racconto, fece breccia tra i programmatori di Radio Deejay, permettendoci così di far passare i nostri brani anche su diverse emittenti nazionali.

Negli anni successivi mi trasferii a Roma e con i Vick Frida iniziammo a esibirci nei locali della capitale. Fu un bel periodo, ricco di incontri, e tra questi incontri uno particolarmente importante fu quello con Giovanni Baglioni, figlio di Claudio e chitarrista eccezionale. Con lui scrivemmo a 4 mani uno spettacolo teatrale intitolato D’istanti non distanti, che portammo in tournée per una quindicina di date tra Veneto, Puglia e Toscana.

PG: Un incontro importante, perché Giovanni parteciperà anche all’album successivo dei Vick Frida…

E: Esatto. Nel 2013 esce il secondo album dei Vick Frida: Thisastro, al quale parteciparono, come ospiti Mario Venuti, Mauro Ermanno Giovanardi e anche Giovanni Baglioni. Questo secondo album affrontava questioni più sociali ed esistenziali rispetto al primo.

 A questo proposito c’è un episodio che ricordo sempre con piacere e un pizzico di incredulità: il primo singolo estratto dall’album fu per l’appunto un duetto con Mario Venuti, la canzone Anche i filosofi, che avevo scritto ispirandomi al libro del teologo Vito Mancuso “Io e Dio”.

Quello stesso anno Vito Mancuso, avendo ascoltato il brano, ci invitò a partecipare alla Fiera delle Parole: mai avrei creduto, data una carriera scolastica non propriamente brillante, di trovarmi sullo stesso palco con Vito Mancuso ed Ermanno Olmi, anche lui tra gli ospiti di quella edizione!

PG: Dopo questo album, però, la produzione dei Vick Frida si interrompe…

E: Sì, abbiamo avuto belle soddisfazioni, il riconoscimento degli addetti ai lavori, anni molto intensi e collaborazioni eccellenti ma ad un certo punto le strade dei componenti non convergevano più in senso lato ed in senso stretto, visti i miei spostamenti.

PG: Nel frattempo tu hai lasciato l’Italia, giusto?

E: La vita mi ha portato in seguito a Ginevra, in Svizzera, dove sono rimasto per un po’ più di un anno e dove ho lavorato come insegnante di canto per un’organizzazione internazionale ILO, assimilabile a l’Onu. Ed è stato dopo questa prima esperienza all’estero che – come ti dicevo – sono arrivato a Parigi, nel 2017!

PG: Parliamo un po’ del tuo arrivo a Parigi, come è stato per te il primo impatto con la Ville Lumière?

E: Quando sono arrivato a Parigi, non avevo un lavoro; quindi ho dovuto ricominciare da zero per inserirmi nel contesto lavorativo e farmi conoscere. In una metropoli come Parigi le persone hanno fisiologicamente poco tempo a disposizione a causa del ritmo frenetico della città. Mi ci è voluto un po’ di tempo per ambientarmi e trovare il mio posto, per abituarmi ai ritmi e alle dinamiche della città.

Devo dire che Parigi mi piace molto. Sono una persona che si lascia facilmente suggestionare e qui trovo una fonte inesauribile di ispirazione. Ad esempio, quando mi trovo a Montmartre, camminando per quelle stradine pittoresche, mi viene spontaneo immaginare la vita bohémien con i suoi amori travolgenti e le passioni sfrenate, anche se sono consapevole che oggi le cose sono certo molto diverse…

PG: E qui, dicevi, hai affiancato alla tua attività di insegnamento nella tua scuola di canto “Ta voix!” anche quella di autoproduzione musicale.

©Enrico Fridlevski

E: Nel 2018 ho pubblicato il primo singolo intitolato La Rosa e la Sposa. Nonostante una parte del testo sia in francese lo avevo iniziato a scrivere già prima di approdare a Parigi. Si tratta di una storia semplice: il viaggio verso un’amata attraverso la Francia, l’Italia e fino al Marocco. Questo pezzo mi ha dato alcune soddisfazioni, per esempio RDF ha continuato a sostenere il mio percorso ed è passata in radio anche in Italia.

In seguito, ho scritto Buon Viaggio Fortuna, una bossa nova, un inno al viaggio e alla spensieratezza; Orzobimbo, una canzone molto più marcata dalle sonorità anni ’80 che parla dell’infanzia; e infine Cuor di Barbiere, uno swing all’italiana.

PR: E così arriviamo al tuo ultimo singolo, That Something, che è uscito da poche settimane…

E: Proprio così, a un anno circa dalla prima stesura ho pubblicato questo nuovo pezzo, That Something. Anche questo brano è una bossa nova, uno stile che mi piace molto col suo equilibrio dolceamaro fatto di atmosfere malinconiche nella melodia e nell’armonia… ma gioiose nel ritmo. That Something è un’omaggio dichiratato a quei classici resi noti da Frank Sinatra durante la sua collaborazione con Tom Jobim!

PR: Nei tuoi brani spazi tra diversi stili musicali… quali sono le tue influenze?

E: Dipende… Quanto tempo ho per rispondere? Diciamo che, se dovessi farla proprio breve, direi Ennio Morricone e i Depeche Mode. Se potessi allungare un po’ la lista aggiungerei molti nomi della Scuola Genovese: Gino Paoli, Luigi Tenco, ma anche Bruno Lauzi, Sergio Endrigo o Umberto Bindi! Per me in quel genere, in quel periodo si può ritrovare il germe della miglior musica italiana: quell’attenzione all’armonia, all’accordo giusto. Non erano i miei idoli durante la mia gioventù, ma devo dire che più l’ascolto e più mi piace!

Qui a Parigi ho scoperto le canzoni di Gainsbourg, che conoscevo superficialmente, ho scoperto… o meglio, riscoperto, di avere un debole per le melodie classiche, da Barbara a Edith Piaf… quelle melodie tra il malinconico e il danzante in tre quarti. Mi sono avvicinato a questo repertorio classico, che mi è utile anche per i miei corsi: si tratta spesso di melodie orecchiabili che si basano, però, su delle scale estremamente precise…

Ma la lista sarebbe veramente molto lunga!

Diciamo però che la musica che apprezzo di più e che tendo ad ascoltare più volentieri è la musica strumentale. Morricone, come dicevo, ma anche Hans Zimmer e Ryūichi Sakamoto, per fare qualche nome… Certo, per uno che si è diplomato in canto sembra quasi un paradosso preferire la musica strumentale… Ma è così!

PG : Poco fa ci parlavi del repertorio classico francese. Ti sembra che ci sia una differenza profonda tra la musica italiana e quella francese?

©Enrico Fridlevski

E: È una questione vasta e complessa… Così, di getto, vorrei solo condividere quella che è una mia impressione: ho la sensazione che la canzone francese e francofona, sia del passato (Brel, Barbara…) sia quella contemporanea (e qui vorrei citare l’artista belga Stromae, che per me è il miglior artista pop contemporaneo) abbia meno paura di affondare in una tristezza e in una malinconia senza via d’uscita.

In Italia c’è subito la paura di essere etichettato come “quello deprimente” o “quello depressivo”, ma in realtà fa bene affrontare anche temi scuri e andare fino in fondo a questa tristezza, perché è catartico!

PG: Qual è il processo creativo che si trova dietro ai tuoi pezzi?

E: Di solito la prima cosa che mi viene in mente è la melodia. D’abitudine mi viene in mente la sera, quando c’è silenzio, al momento di mettermi a letto. Se in quel momento la volontà vince sulla fatica allora mi alzo e vado al pianoforte per annotarla: se suono gli accordi l’indomani posso ricordarmela. Altrimenti al 99% è persa.

Questo perché io – come tutti, in realtà – quando penso ad una melodia sotto ci sento l’armonia, ossia gli accordi… Ma quelli non riesco a immaginarmeli, ho bisogno di mettermi al piano e provarli. Una volta registrata questa prima idea un po’ confusa, la lascio da parte: in quel momento non sono lucido, per cui gli lascio il tempo di sedimentarsi. Più tardi, quando riascolto tutti questi “appunti sonori” dopo averli dimenticati, decido: se è qualcosa che mi sembra interessante e che ascolterei volentieri cerco di svilupparli. A quel punto metto il mestiere, come si suol dire.

Il testo viene dopo, con fatica: è una parte che amo meno… Di solito attingo ai ricordi, al passato… Ho un temperamento un po’ malinconico, che mi porta a parlare volentieri dell’infanzia, delle occasioni perdute, di quel passato che guardiamo da lontano. Ma è una malinconia dolce, senza amarezza, che – alla fine – nasconde sempre un’ode all’esistenza e alla vita.

PG: Hai qualche progetto per il futuro che ti piacerebbe veder realizzato nei prossimi mesi, o nei prossimi anni?

E: Per quanto riguarda l’insegnamento mi piacerebbe scrivere una serie di esercizi d’autore, di melodie per lo studio del canto, da accompagnare al piano o magari anche orchestrate. Per quanto riguarda la produzione musicale, invece, vorrei registrare – magari anche pezzi che ho già scritto – con un’orchestra. Anche se non ho studiato composizione per orchestra è qualcosa che mi appassiona veramente, e mi piacerebbe molto andare in quella direzione!

 

 

Ascoltate la nostra playlist per ritrovare tutti i brani di Enrico Fridlevski.

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Foto di copertina: Amir Doreh su Unsplash

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