Sabato sera sono stata invitata a una crémaillère verso Convention. Durante il tragitto in metropolitana, ho ascoltato la conversazione di due giovani ragazze italiane. Riflettevano su come a Parigi una regola non scritta preveda di portare sempre da bere quando sei invitato a una soirée e di come invece in Italia l’usanza sia molto più spesso quella di dividere la spesa.
Questi due fattori (spingermi fino al 15° e sentir parlare di bizzarri costumi francesi non ancora interiorizzati) mi hanno spinto a interrogarmi su come sia cambiata nel tempo la mia visione su Parigi e i suoi abitanti, e mi sono ritrovata a sorridere di alcune convinzioni che avevo prima di arrivare o appena arrivata, e di come l’immaginario sia evoluto nel corso degli anni.
Cosa pensavo di Parigi prima di venirci a vivere?
- Che tutte le francesi erano bellissime e avevano tanta classe e che io ero nellammerda;
- Che i francesi o erano gay o assomigliavano a Mathieu Kassovitz o erano gay e assomigliavano a Mathieu Kassovitz;
- Che la gente aveva un sacco di tempo da perdere e poteva passare delle ore a farsi le pippe mentali senza che la cosa apparisse bizzarra ad alcuno, come nei film di Rohmer;
- Che a tutti i parigini piaceva fare le cose a tre e che il tradimento non era una cosa per niente grave come in tutti i film della Nouvelle Vague;
- Che c’era un filtro arancione costante, come nei film di Jean-Pierre Jeunet, oppure era tutto in bianco e nero, come nei film della Nouvelle Vague;
- Che gli Champs-Elysées erano come in A bout de souffle con gli alberi sui lati e una tizia che urlava « New York Herald Tribune »;
- Che Montmartre era il posto più fico di tutti perché c’erano gli artisti;
- Che i francesi parlavano solo in francese perché erano molto altezzosi e orgogliosi della propria lingua;
- Che uno, prima di limonare duro, ti dava prima un bacio sulla fronte, poi uno sulla guancia e poi uno sul naso, come nel Favoloso mondo di Amélie;
- Che i bar del 5° arrondissement erano pieni di intellettuali che leggevano il giornale in terrazza o parlavano di cose serissime;
- Che Nôtre Dame era come ne Il Gobbo di Nôtre Dame.
Che cosa pensavo di Parigi appena ci sono venuta a vivere?
- Che si poteva cercare casa ovunque tranne che nel 18°, nel 19° e nel 20°, perché erano delle brutte zone;
- Che la città era divisa in quartieri indipendenti e non interconnessi l’uno all’altro, corrispondenti ad altrettante stazioni della metro;
- Che la gente a volte parlava strano e non si capiva niente perché invertiva le sillabe;
- Che i parigini facevano solo delle fêtes déguisées e moi j’aimais pas;
- Che quando andavi a una festa dovevi sempre portare da bere e bere quello che avevi portato;
- Che i parigini facevano sempre l’apéro senza mai mangiare;
- Che andare a bere la sangria in quel baretto vicino a Odéon era una cosa fica e relativamente economica;
- Che andare al Piano Vache a sentire del jazz il mercoledì sera era una cosa fica e relativamente economica;
- Che i francesi non solo non assomigliavano tutti a Mathieu Kassovitz, ma in più manco ti si filavano troppo.
Cosa cosa penso di Parigi ora?
- Che nel Quartiere Latino ci sono solo i turisti e sugli Champs Elysées pure;
- Che gli artisti di Montmartre fanno i ritratti ai turisti;
- Che la gente per conoscersi usa Tinder, Happn e Adopteunmec;
- Che nei bar della Rive Gauche le persone ti chiedono troppo spesso “Che cosa fai nella vita?” e quando parlano di cose serissime spesso lo fanno solo per darsi un tono;
- Che pochi francesi scrivono in francese senza fare errori di ortografia;
- Che fare un apéro sul Canal Saint-Martin è una cosa fica e relativamente economica (quando non piove e non fa freddo…);
- Che andare a ballare al Saint-Sauveur il sabato sera è una cosa fica e relativamente economica, anche perché in generale nessuno ti chiede “Che cosa fai nella vita?”, ma al massimo trovi qualcuno che ti offre un verre;
- Che non è bene avventurarsi al di fuori del 18°, 19° e 20° arrondissement.
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