Ici l’article en français.
Romantizzare i (lunghi) viaggi in treno è un privilegio di classe.
So che può sembrare provocatorio, ma lasciate che mi spieghi. Chi mi conosce sa che sono appassionata di treni e che adoro viaggiare su rotaia. Non è un caso se ho deciso di dedicare un progetto di film documentario al mondo ferroviario.
Sono anche pienamente consapevole dell’impatto del traffico aereo sul clima. Per dirla semplicemente, rinunciare all’aereo è uno dei gesti individuali più efficaci per ridurre la nostra impronta di carbonio, dopo l’adozione di una dieta almeno in gran parte vegetale. Anche per questo, oltre alla mia passione ferroviaria, ho scelto di viaggiare “terra terra”. Naturalmente, nel 2025, gli algoritmi dei social network conoscono perfettamente le mie preferenze e mi sommergono di pagine e creatori di contenuti che promuovono il viaggio in treno.
Al di là dei progetti che hanno un reale valore aggiunto e delle pagine che raccolgono ottimi consigli per la ferramatrice che sono, alcuni contenuti provengono da travel blogger recentemente convertiti al treno per ragioni ecologiche… E ben venga! Lungi da me giudicare un mondo (quello dei “content creators” o degli influencer) che non conosco. E francamente, tutto quello che può convincere foss’anche solo una persona in più a partire per la Spagna in treno invece che in aereo… ma daje tutta!
Se non che, periodo estivo oblige, da un paio di mesi sono letteralmente sommersa da reel tanto affascinanti quanto irrealistici, del genere: “Sono andato/a in Cina in treno: è facile e economico” o “Il mio giro del mondo in treno”. Ai commenti degli utenti che obiettano che non tutti possono permettersi un viaggio di tre o quattro settimane, questi rispondono, con un aplomb invidiabile, che è una questione di scelta e che bisogna cambiare il modo in cui concepiamo il viaggio. Ok.
Come spesso accade, quando l’accento è posto sulla scelta, divento diffidente. Perché poter scegliere è – spesso – già un privilegio. Il ragionamento insidioso che sento montare dietro questi discorsi è un discorso squisitamente classista che potrebbe suonare così: prima del turismo di massa, i ricchi potevano permettersi i biglietti aerei per andare in Cambogia, mentre i poveri restavano a casa. La divisione era chiara e definita, l’esclusività dell’esperienza era garantita dal privilegio economico (e quindi di classe). Ormai, però, col turismo di massa, qualunque straccione – o quasi – può prendersi un charter o una low cost e volare dall’altra parte del mondo. Oggi quindi i poveri che non possono prendere quattro settimane di ferie ma che, guarda un po’, vogliono vedere i templi di Angkor pure loro sono bollati come “irresponsabili” e cattivi turisti dai bobo che possono partire tre mesi perché sono “digital nomads”. Sei un morto di fame? Ma che ci vai a fare in Asia, prenditi un treno e vai a vedere quant’è bella la Camargue!
Naturalmente (lo chiarisco per fugare ogni dubbio) sono più che d’accordo sul fatto che il turismo, così come si è sviluppato negli ultimi sessant’anni, sia deleterio. Anche io penso che tutti dovremmo riscoprire l’Ardèche, il Vercors o il Cotentin (oppure la Maremma o i Colli Euganei se viviamo in Italia, ma il discorso non cambia), invece di andare all’altro capo del mondo: ma appunto, TUTTI, non solo chi non può permettersi l’esperienza della Transiberiana.
Il discorso, ovviamente, è molto complicato e richiede molte sfumature. La critica al turismo – di qualsiasi tipo di turismo – non è l’obiettivo di questa riflessione (ne avevo scritto proprio qua su PG qualche anno fa).
Ma quindi cosa voglio dire con “romantizzare i (lunghi) viaggi in treno è un privilegio di classe”? Questo approccio, mi sembra, si basa su una visione del mondo come qualcosa da osservare e consumare. Attraverso questo “tourist gaze”, per usare l’espressione di John Urry, il lungo viaggio in treno diventa “parte integrante dell’esperienza di viaggio”, prontamente immortalato in foto e condiviso sui social. Gli imprevisti, veri ostacoli per chi utilizza il treno quotidianamente, si trasformano in “diversivi”: esperienze da raccontare all’aperitivo o da mostrare su Instagram, senza dimenticare di sottolineare quanto siamo zen nell’accettare i disservizi, perché, dopotutto, siamo in “modalità vacanza”.
Soltanto che il treno non è un giocattolo per vacanzieri. È (almeno per adesso) un servizio pubblico, destinato a servire i territori e a permettere la mobilità di chi quei territori li vive quotidianamente. Le linee regionali non sono un nuovo Disneyland dove sentirsi “esotici”. I ritardi e i disservizi non sono folkloristici, sono problematici.
Il problema di questo approccio è che finisce per trasformare tutto, qualunque luogo, in uno “spettacolo” da osservare e apprezzare visivamente, e qualunque esperienza nella ricerca di un’“autenticità” spesso ridotta a folklore per turisti. Si tratta dello stesso meccanismo che ha trasformato Venezia in un parco a tema e che spinge le persone a fare passeggiate a dorso di cammello su animali esausti, con la scusa di vivere un’esperienza locale.
Il fatto è che i treni servono principalmente a far muovere la gente. E – spoiler alert – le persone viaggiano tanto più di quanto non si creda, e viaggiano spesso per mille ragioni che col turismo non hanno nulla a che vedere: lavoro, famiglia, motivi medici, matrimoni, funerali, emigrazione… e molte altre ancora. Facciamo un esempio concreto: a settembre devo andare da Firenze a Marsiglia. Secondo Instagram, non c’è niente di più facile né di più bello che costeggiare la Costa Azzurra in treno. Eppure, per me, questo viaggio durerà circa dieci ore: in aereo ci avrei messo quattro ore, nonostante un cambio. I viaggiatori non si muovono solo per guardare il paesaggio scorrere (che lo ammetto volentieri, è una roba strafiga: anch’io di recente ho fatto solo vacanze in treno proprio per questo motivo!), ma perché devono spostarsi da un punto A a un punto B. Spesso – penso – preferirebbero meno folklore, viaggi più rapidi e meno cambi.
Senza voler parlare necessariamente di una frattura tra turismo e utenti quotidiani, bisogna considerare le esigenze di chi viaggia ogni giorno. Il treno deve essere pensato non come un semplice oggetto di meraviglia turistica, ma come un vero strumento di mobilità per tutti, un servizio pubblico vivo e in evoluzione, al cuore dei territori e delle vite quotidiane. È valorizzando questa funzione che il viaggio in treno ritroverà tutto il suo senso, lontano dai cliché e dalle illusioni.